Critica liberale intende festeggiare l’Otto marzo ricordando Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista fatta assassinare di Putin.
Estraiamo le notizie da Wikipedia.
«L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede».
Anna Politkovskaja
Anna Stepanovna Politkovskaja, nata Anna Mazepa (in russo: А́нна Степа́новна Политко́вская?; New York, 30 agosto 1958 – Mosca, 7 ottobre 2006), è stata una giornalista russa con doppia cittadinanza russo-statunitense.
Particolarmente attenta sul fronte dei diritti umani, Politkovskaja è nota principalmente per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le sue aspre critiche contro le forze armate e i governi russi sotto la presidenza di Vladimir Putin, accusati del mancato rispetto dei diritti civili e dello stato di diritto. Il 7 ottobre 2006 è stata assassinata a Mosca mentre stava rincasando. Il suo omicidio produsse una notevole mobilitazione internazionale al fine di chiarire le circostanze che hanno portato alla sua morte.
Nacque a New York, negli Stati Uniti d’America, nel 1958 da due diplomatici sovietici di origine ucraina di stanza presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Dopo aver studiato giornalismo presso l’Università statale di Mosca si laureò nel 1980 con una tesi sulla poetessa russa Marina Cvetaeva.
La sua carriera giornalistica iniziò nel 1982 presso il quotidiano moscovita “Izvestija”, che lasciò nel 1993. Già nel corso dell’anno successivo iniziò a lavorare come cronista per l’”Obščaja Gazeta”, in qualità di responsabile della sezione emergenze e incidenti e di assistente al direttore Egor Jakovlev. Nel 1998 si recò in Cecenia come inviata del giornale per intervistare il neoletto Presidente Aslan Maschadov. Nel giugno 1999 entrò nella redazione della Novaja Gazeta e pubblicò alcuni libri fortemente critici sul Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin in merito alla conduzione della seconda guerra cecena e dell’invasione del Daghestan ed Inguscezia. Spesso per il suo impegno venne minacciata di morte.
Nel 2001 Politkovskaja fu costretta a fuggire a Vienna in seguito a ripetute minacce ricevute per posta elettronica da Sergei Lapin, un ufficiale dell’OMON da lei accusato di crimini contro la popolazione civile in Cecenia. Lapin venne arrestato per un breve periodo e poi rilasciato nel 2002. Il processo riprese nel 2003 per concludersi, dopo numerose interruzioni, nel 2005 con una condanna per l’ex poliziotto per abusi e maltrattamenti aggravati su un civile ceceno e per falsificazione di documenti. Proprio in Cecenia la Politkovskaja si recò molto spesso, sostenendo le famiglie delle vittime civili, visitando ospedali e campi profughi, intervistando sia militari russi sia civili ceceni.
Nelle sue pubblicazioni, non risparmiò critiche violente sull’operato delle forze russe in Cecenia, sui numerosi e documentati abusi commessi sulla popolazione civile e sui silenzi e le presunte connivenze degli ultimi due Primi Ministri ceceni, Achmat Kadyrov e suo figlio Ramzan, entrambi sostenuti da Mosca. Anna Politkovskaja godette anche di notevole considerazione negli ambienti ceceni: il suo nome è spesso apparso fra i “negoziatori privilegiati” dalla guerriglia, così come apparve fra le personalità impegnate a condurre le trattative durante la crisi del Teatro Dubrovka.
Nel 2003 pubblicò il suo terzo libro, A Small Corner of Hell: Dispatches From Chechnya, in cui denunciava la guerra brutale in corso in Cecenia nella quale migliaia di cittadini innocenti erano torturati, rapiti o uccisi dalle autorità federali russe o dalle forze cecene. Durante la stesura del libro, la Politkovskaja si valse anche delle testimonianze di militari russi e della protezione di alcuni ufficiali durante i mesi più duri della guerra. Nel settembre 2004 mentre si stava recando in volo a Beslan durante la crisi degli ostaggi dopo aver bevuto un tè datole a bordo venne improvvisamente colpita da un malore e perse conoscenza. L’aereo fu costretto a tornare indietro per permettere un suo immediato ricovero e si suppose un tentativo di avvelenamento.
Nel dicembre 2005, durante una conferenza di Reporter Senza Frontiere a Vienna sulla libertà di stampa dichiarò: «Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare.»
In un saggio che verrà pubblicato postumo nel 2007, in una raccolta a cura del PEN American Center, Politkovskaja scriveva: «Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci.»
Nello stesso saggio dice di non considerarsi “un magistrato inquirente”, ma piuttosto “una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo”, dal momento che – continua – in Russia “i servizi trasmessi in tv e gli articoli pubblicati sulla maggior parte dei giornali sono quasi tutti di stampo ideologico”.
Politkovskaja fu ritrovata morta nell’ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006. La polizia rinvenne accanto al cadavere una pistola Makarov con quattro bossoli ed uno dei proiettili sparati l’aveva colpita alla testa. Si seguì quindi la pista di un omicidio premeditato operato da un killer a contratto. Sebbene non siano stati individuati i responsabili molti hanno individuato come mandante lo stesso proprio il Presidente Putin.
Il giorno successivo la polizia russa sequestrò il suo computer e tutto il materiale dell’inchiesta che la giornalista stava compiendo. Il 9 ottobre, l’editore della “Novaja Gazeta” Dmitrij Muratov affermò che Politkovskaja stesse per pubblicare, proprio il giorno in cui fu uccisa, un lungo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramzan Kadyrov. Muratov aggiunse che mancavano anche due fotografie ma gli appunti non ancora sequestrati furono pubblicati il 9 ottobre stesso sul giornale.
I funerali si svolsero il 10 ottobre presso il cimitero Troekurovskij di Mosca. Più di mille persone, fra cui anche colleghi e semplici ammiratori della giornalista, parteciparono alla cerimonia funebre. La sua lapide rappresenta un giornale crivellato dai proiettili, segno del suo grande impegno per la scoperta della verità. Tra i partecipanti alle esequie ci fu anche il leader politico radicale Marco Pannella, amico personale di Politkovskaja. Nessun rappresentante del governo russo vi partecipò.
Anna Politkovskaja aveva una forte determinazione nel dare testimonianza e priorità alle cose “vedute con gli occhi e toccate con mano”, molto più delle proprie opinioni di donna e di giornalista. Le sue parole arrivavano dritte al cuore dei lettori e degli ascoltatori, poiché la Politkovskaja utilizzava un linguaggio schietto, rigoroso e chiaro, volto a far rivivere l’evento stesso descritto nelle proprie inchieste. È la stessa giornalista a dichiarare di aver dato vita ai propri libri attraverso una catalogazione di “appunti disordinati ai margini della vita in Russia”.
La Politkovskaja volle sempre rivendicare con i suoi scritti il proprio modo di essere testimone: testimone perché partecipe, non una semplice spettatrice. Così voleva vivere la Politkovskaja, sia sul piano lavorativo come inviata della “Novaja Gazeta”, sia sul piano strettamente giudiziario, quando era necessaria la sua presenza in tribunale per denunciare violenti e violentatori, accusati più volte dalla giornalista stessa per crimini di guerra. Gli scritti di Anna Politkovskaja sono ostinati e incalzanti: le storie raccontate sono scritte in ogni più piccolo dettaglio, facendo trasparire lo sdegno per ciò che accade in quel momento e provando compassione per le innumerevoli vittime innocenti. La prosa è diretta e asciutta, schietta e semplice. L’obiettivo della giornalista della “Novaja Gazeta” era di essere chiara ed esauriente, evitando volontariamente di ornare la realtà con una prosa artificiosa. Le descrizioni dei fatti vista dalla giornalista in persona vogliono creare consapevolezza.
I dossier della Politkovskaja rendono il lettore partecipe della scena, anzi, egli sembra letteralmente immedesimarsi nella storia, riuscendo persino ad evocare chiare e vivide immagini dell’evento descritto. Per questo motivo la giornalista russa può essere descritta anche come una eccellente fotoreporter: attraverso il solo uso della penna ella riesce a far rivivere anche i più piccoli particolari, che fanno da cornice alla vicenda raccontata. Per queste particolari caratteristiche la Politkovskaja viene spesso associata ad uno stile intermedio tra il “new journalism”, attraverso l’uso di dialoghi e di descrizioni dettagliate, e l’“advocacy journalism”, ponendosi come obiettivo l’utilità e la verità. Spesso queste sue caratteristiche andavano a scontrarsi con il giudizio dell’opinione pubblica e dei suoi stessi colleghi russi o stranieri, i quali non hanno perso occasione di deriderla pubblicamente per il suo faticoso ed “ingrato” compito.
Anna Politkovskaja, inoltre, firmò sempre i propri lavori, le indagini e le dichiarazioni personali: “chi si sente nel giusto non ha bisogno dell’anonimato”. Tra i lavori della giornalista risaltano con forza le richieste delle madri dei soldati e dei giovani scomparsi nel nulla, le denunce contro le ingiustizie in territorio russo e ceceno, le inchieste per reati di corruzione continuamente insabbiati ed assolti dalla magistratura russa. Questi ultimi reportage andavano in particolare a denunciare gli abusi dei soldati federali russi, compiuti contro i ceceni e gli incarcerati, e l’anarchia esistente tra le file dell’esercito, con l’assoluta noncuranza del governo di Putin.
Suoi scritti:
Cecenia: la guerra degli altri. Ovvero vivere al di là della barra. Carlo Spera editore, Lanciano. In collaborazione con l’organizzazione di volontariato Mondo in cammino.
Cecenia, il disonore russo, Fandango, Roma, 2003.
La Russia di Putin, Adelphi, Milano, 2005.
Proibito parlare, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2007.
Diario russo, Adelphi, Milano, 2007.
Un piccolo angolo d’inferno, Rizzoli, Milano
Cecenia: la guerra degli altri, raccolta di reportages e riflessioni sul secondo conflitto russo-ceceno, Carlo Spera editore, 2008.
“Letter to Anna”, documentario girato da Eric Bergkraut, vincitore del Premio Vaclav Havel al Festival per il film documentario “One world international human rights” del 2008. Mandato in onda dalle principali televisioni europee (BBC, ZDF, ARD, SF), in Italia non è ancora stato trasmesso e non ha avuto distribuzione nelle sale cinematografiche.
Gli articoli di Anna Politkovskaja sono stati pubblicati da “Internazionale”.
L’organizzazione per i diritti umani Reach All Women in War (RAW in WAR), che si occupa della protezione dei diritti delle donne durante i conflitti bellici, ha istituito dal 2007 il Premio annuale in onore di Anna Politkovskaya, denominato “Anna Politkovskaya Award”. Il premio viene attribuito “a una donna che difende i diritti umani in zone di conflitto nel mondo che, come Anna, si alza in piedi per le vittime di questo conflitto, spesso con grande rischio personale”. Il premio fu attribuito per la prima volta nell’ottobre 2007 a Natalya Estemirova, amica e collega di Anna Politkovskaja, che fu poi uccisa nel 2009.