UNA SVOLTA POLITICA CHE DEVE CONTINUARE

di enzo marzo

La bocciatura dei 5 referendum sulla giustizia da parte del popolo italiano è stata chiara e netta. E con proporzioni così eclatanti che rende questa consultazione di portata storica. Non per il solo scampato pericolo di un maldestro taglia-e-cuci, ma soprattutto per il rilievo politico della sconfitta: hanno fallito – per la prima volta da troppo tempo – la demagogia e il populismo. È stato sconfitto l’avventurismo cialtrone dei Salvini, dei Renzi, dei Calenda e dei potenti più o meno pregiudicati, ovvero di tutto quel blocco sociale e politico che vive di privilegi e di illegalità, e incrementa a dismisura le disuguaglianze tra i cittadini. È stata sconfitta la “sinistra di destra” che, per conservare il potere, ormai da troppo tempo rincorre opportunisticamente elettori e rappresentanti proprio della peggiore politica illiberale.

I cittadini hanno respinto i quesiti chiesti non dai cittadini ma dai consigli regionali, cioè dalla parte più mediocre della nostra classe dirigente. È stata respinta la solita manovra radicale che truffaldinamente voleva trasformare i referendum abrogativi in propositivi. Ma si sa che i radicali, da decenni, pur di stare sul palcoscenico per qualche attimo, spettacolarizzano masochisticamente il suicidio loro e delle politiche che strumentalizzano. I cittadini hanno risposto avvalendosi del loro diritto di respingere la manovra rifiutando di votare. L’entità del risultato dimostra che la loro è stata una decisione assolutamente politica.

Il mancato voto di oggi significa richiesta impellente di un ritorno alla serietà, alla politica vera, alle sedi istituzionali, alla democrazia parlamentare. La questione della crisi della giustizia, che c’è ed è grave, deve essere affrontata nella sede appropriata. Il Parlamento dovrà discutere approfonditamente una riforma complessa (magari non in questa legislatura, che sicuramente è la peggiore nella storia repubblicana): la crisi della giustizia civile e penale colpisce tutti i cittadini e non si può ridurre a un conflitto di potere tra corporazioni o a un revanscismo ormai datato. Speriamo che il segnale dato oggi sia l’inizio di una vera svolta politica.

 
Comitato ilNOmedianteilNON
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6 commenti su “UNA SVOLTA POLITICA CHE DEVE CONTINUARE”

  1. Prescindendo dal merito dei quesiti, in via generale a me sembra che il quorum del 50% per un referendum sia un traguardo chiaramente irraggiungibile nel momento in cui alle coeve amministrative quasi non lo si raggiunge. Quindi il problema si sposta su un altro piano: vediamo quanti sono i SI e quanti i NO su ciascun quesito, e questo é l’unico dato significativo da valutare.. Se i SI superano i NO é un un segnale (per me positivo), se accade il contrario é un altro segnale (per me negativo), il che é possibile, se non probabile, per i primi due quesiti (quelli sostanziali Legge Severino e custodia cautelare) meno per gli altri tre (quelli ordinamentali).

  2. Aggiungo che, dove si è votato insieme per amministrative e referendum, lo scostamento tra il voto amministrativo e quello referendaro (cioé rifiuto delle 5 schede x i 5 quesiti) é irrilevante.

    1. Non è facile rifiutare le schede, posso orgogliosamente dire che sono stati quasi tutti merito mio
      Riccardo Mastrorillo

  3. Infine, quanto al quorum referendario in genere, vorrei rammentare a me stesso che esso é stato stabilito in Costituzione (art. 75) quando si prevedeva che la partecipazione al voto sarebbe stata massiccia (al referendum monarchia-repubblica del 1946 partecipò il 90% degli elettori), mentre nel tempo la partecipazione é calata sino all’attuale 50%. E quindi, se si volesse implementare l’uso dello strumento referendario, il quorum dovrebbe essere costituito dal 50% rispetto ai votanti dell’ultima consultazione elettorale generale ((elezioni politiche o europee).
    Al contempo, bisognerebbe anche rendere espressamente inammissibili i referendum manipolativi, cioè quelli che non si limitano ad abrogare una norma ma tendono a trasformarla in altra norma, il che consentirebbe di alzare una barriera importante a difesa della democrazia parlamentare.

    1. Caro Enzo ti invito a rileggere, il dibattito alla costituente e gli interventi dei Liberali in parlamento sulla lunga discussione della legge istitutiva del 1970, non si può interpretare la costituzione sulle ipotesi, bisogna capire cosa intendessero i costituenti.

      Riccardo Mastrorillo

    2. Preoccupa che, nonostante il passato liberale, perfino un giurista come il sen. Palumbo non riesca a stare al tema di quanto avvenuto ieri ai referendum, non in uno bensì in cinque quesiti. Dissertare sul fatto che il traguardo del 505+1 sia irraggiungibile, serve a nascondersi , a non spiegare perché allora le regioni hanno presentato ugualmente i quesiti. E affermare che il segnale che conta non è il mancato raggiungimento del quorum, bensì se i SI superano i NO tra i votanti, dimostra solo ignorare (cosa stupefacente se lo fa un giurista ) il perché i Costituenti abbiano posto la condizione di un minimo di votanti perché fosse valido un referendum abrogativo. Lo hanno fatto perché una legge è competenza del Parlamento – tipica concezione della democrazia rappresentativa – e abolirla non può essere affidato a un insieme minoritario di cittadini in preda a pulsioni demagogiche verso la democrazia diretta. Il quorum ex art.75 è un argine democratico rappresentativo alla democrazia diretta, che nella storia non ha mai dato prova di essere efficace per costruire una libera convivenza. Pertanto, non ha rilievo il fatto che a differenza degli anni ’40, oggi siano diminuiti i votanti. Il motivo è che nelle elezioni politiche, chi non va alle urne decide di affidarsi alle scelte degli altri, mentre per i referendum abrogativi la Costituzione non prevede che esista l’astensione. Pesano tutti gli aventi diritto al fine di verificare se è valido il risultato di un referendum. Questa è la regola,coerente e significativa, dal 1 gennaio 1948. La preoccupazione è che un giurista non riconosca il fatto politico avvenuto e si metta a dissertare sui cambiamenti che lui vorrebbe apportare. Per di più, ammettendo anche, implicitamente, che i quesiti del 12 giugno erano manipolativi. E forse lo erano perché il clima politico culturale diffuso è divenuto, nell’ammissibilità referendaria, mene attento all’integrale rispetto del significato abrogativo voluto dai Costituenti

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