l’estrema destra italiana e israele

di Luciano Belli Paci

La presa di distanza dall’antisemitismo risale ad Almirante, che pure era stato segretario di redazione de “La Difesa della Razza” e poi esponente della RSI. Il MSI, che era nato antiamericano e filoarabo, si era convertito nel corso dei decenni in partito filoccidentale e ammiratore di Israele. Ed aveva inaugurato con astuzia un’operazione politica che si è perfezionata solo molti anni dopo, con le formazioni post-missine: quella di enucleare il capitolo antiebraico dalla complessiva storia del fascismo, in modo tale da esibire una sempre più veemente condanna di quel crimine estremo, guadagnarsi titoli di presentabilità e al tempo stesso disseminare il messaggio subliminale secondo il quale il resto del fascismo – se non fosse stato per quel cancro, peraltro di importazione – non sarebbe stato poi così male.

Durante la prima Repubblica quel trucco convinse ben pochi.  I partiti di massa dell’arco costituzionale producevano ancora cultura politica e pedagogia civile, inoltre la memoria del fascismo era ancora abbastanza viva. Vi era dunque, nei più, una chiara consapevolezza che il giudizio sulla persecuzione degli ebrei non potesse essere avulso da quello sull’intero svolgimento antidemocratico, criminale e violento della storia fascista precedente, che di quella persecuzione aveva costruito tutte le premesse ideologiche, ordinamentali e di assuefazione psicologica all’arbitrio e alla disumanità.  E di sicuro non si lasciarono incantare gli ebrei italiani, che nelle loro storie familiari trovavano anticorpi assai vitali e vigili.

Nell’avvio della seconda repubblica Berlusconi ha subito dimostrato la sua totale assenza di principi associando il MSI al governo senza che questo avesse rinnegato le radici neofasciste; la trasformazione del MSI in AN è arrivata solo in un secondo tempo, addirittura dopo la caduta del primo governo Berlusconi. 

Si deve all’intelligenza e al coraggio politico di Gianfranco Fini se Alleanza Nazionale, anziché limitarsi a lucrare sul prematuro sdoganamento acquattandosi in un amorfo governismo, è andata progressivamente maturando una esplicita ripulsa del passato fascista culminata nel fatidico viaggio del segretario di AN in Israele nel 2003, allorché il leader della destra parlò di “male assoluto”, dapprima riferendosi alle sole leggi razziali ma poi estendendo la condanna al regime di Mussolini. La conversione del partito in una forza di normale destra conservatrice verrà poi consacrata prima dichiarando la disponibilità ad aderire al PPE (2006) e poi confluendo nel berlusconiano Popolo della Libertà (2008). A rendere credibile questo sofferto percorso di allontanamento dal neofascismo del MSI è stato il prezzo pagato con le numerose scissioni a destra delle quali è disseminata tutta la storia di AN: Rauti, Alessandra Mussolini, Musumeci, Storace, Santanché, Buontempo, Rastrelli, ecc.

Come è noto, il leader di AN ha fatto una fine politica ingloriosa, con lo scandalo della “casa di Montecarlo” (2010).  Scandalo montato ad arte dalla grancassa mediatica berlusconiana, ma verosimilmente frutto di una vendetta postuma dei nostalgici che erano rimasti nel partito masticando amaro.

Sta di fatto che, fallita l’esperienza del PDL e silurato Fini, la destra è rinata dando vita al partito di Fratelli d’Italia sotto la leadership di Giorgia Meloni.

La nuova formazione ha intrapreso una lunga marcia che, da un lato, sfruttando abilmente i vantaggi di un’opposizione solitaria, le ha consentito di incrementare i consensi fino a conquistare l’egemonia nel centro-destra e poi la guida dell’attuale governo e, dall’altro, l’ha riportata indietro rispetto alle abiure di Fini, facendole assumere connotati ambigui che in qualche modo riportano alla mente il “non rinnegare” della tradizione missina.

La fiamma ritornata nel simbolo, la rivendicazione della continuità con l’intera parabola della destra, peraltro presentata nella forma mitologica di un eterno esilio in patria come se non fosse arrivata al governo già 30 anni or sono, l’atteggiamento compiacente verso le esibizioni nostalgiche e revisioniste di esponenti nazionali e locali (sistematicamente declassate a mero folklore), il ritorno di molti di coloro che in passato si erano allontanati in dissenso con la svolta antifascista finiana: pas d’ennemis à droite.  Non si tratta di semplice convenienza elettorale, essendo ormai trascurabile il peso del nocciolo duro fascistoide rispetto al vasto bacino di consensi di FdI (per non parlare di quello potenziale). Si tratta proprio di un posizionamento ideologico attribuibile in primis a Giorgia Meloni, forse anche ammaestrata dalla “casa di Montecarlo”.

E, di fronte a tutto questo incontenibile richiamo della foresta, come si sono poste le comunità ebraiche? Generalizzare è sempre sbagliato, ma alcune tendenze sono sotto i nostri occhi.  Anche la fisionomia del piccolo mondo ebraico italiano è molto cambiata nei decenni. La narrazione antipolitica e la priorità “materialistica” (la “roba”) della lunga stagione berlusconiana hanno fatto presa, come per tutti gli altri italiani, sostituendo per molti le discriminanti valoriali di un tempo.  La memoria della Shoah, sebbene ancora centrale per molti, con il succedersi delle generazioni rischia un po’ di perdere centralità; la forte immigrazione ebraica dal nord Africa e dal Medio Oriente ha poi portato con sé memorie familiari focalizzate anche su altre tragedie. E così il furbo diversivo dei vecchi missini, che più ostentavano orrore per l’infamia dell’antisemitismo più intendevano insinuare che al netto di quella ci fossero le famose “cose buone”, ha finito per fare breccia. Importanti esponenti delle comunità ebraiche, anche davanti al “folklore” fascista, non solo si voltano dall’altra parte per non vedere la regressione ma arrivano a “kasherizzare” il partito della Meloni, eleggendolo a baluardo contro l’antisemitismo becero diffuso nelle componenti più radicali della sinistra antisionista ed apprezzandolo come un prezioso alleato di Israele.

Nei casi più estremi, assistiamo a una sorta di rinnovato commercio delle indulgenze: tu appoggi incondizionatamente Israele (rectius, la destra sovranista e con componenti fasciste e razziste che in questo momento governa Israele) e noi in cambio certifichiamo il tuo inesistente approdo antifascista.  Una situazione tra le più imbarazzanti si è verificata quando in occasione di una manifestazione di solidarietà tenutasi al tempio maggiore di Milano è stato accolto con tutti gli onori l’eurodeputato di FdI Carlo Fidanza, quello che era stato immortalato da un’inchiesta di Fanpage mentre faceva saluti romani e cercava finanziamenti cash per i circuiti dei camerati mussoliniani più duri e puri.

Poi però, a gelare tanta corrispondenza di amorosi sensi, è arrivata la nuova inchiesta di Fanpage, quella sui “meravigliosi” giovani del partito della Meloni che nel chiuso delle loro sedi inneggiano al fascismo, al nazismo, alla violenza e che deridono la senatrice Ester Mieli, alla quale in sede ufficiale avevano manifestato una falsa solidarietà mentre in realtà la disprezzavano in quanto ebrea. Il re è nudo. I pessimi esempi venuti dall’alto, le strizzate d’occhio, le risatine compiacenti di fronte alle finte gaffes revisionistiche, la condiscendenza verso i rituali nostalgici, la marcata estraneità rispetto ai fondamenti resistenziali e costituzionali della Repubblica, le relazioni con partner internazionali inquietanti come i falangisti di Vox o come Victor Orbán (e fino all’altro ieri anche con Putin), tutto ha concorso a creare le condizioni perché la “pancia” del partito della Meloni diventasse un incubatore di posizioni antistoriche incompatibili con la cultura democratica.  E tra tali posizioni non poteva mancare l’antisemitismo, che per l’appunto non è un corpo estraneo separabile dal fascismo, ma è connaturato ad esso.

La reazione della Meloni a questo scoperchiamento degli umori che allignano e prosperano dietro la facciata istituzionale del suo partito è stata a sua volta rivelatrice. Per giorni la premier ha menato scandalo perché qualcuno era venuto a ficcanasare in casa dei suoi circoli, arrivando al punto di invocare un intervento del Presidente della Repubblica a tutela della riservatezza violata.  Solo in un secondo tempo si è resa conto dell’enormità dell’errore ed è corsa ai ripari, proclamando l’incompatibilità tra FdI e le posizioni emerse dai filmati di Fanpage. Non risulta tuttavia che sia stato preso alcun provvedimento coerente con tale proclama; vi sono state solo le dimissioni di un paio di incaute dirigenti giovanili da incarichi marginali.

Sarebbe ora che nella destra ebraica si prendesse coscienza di quanto sia stata sconsiderata la scelta di prestarsi alla logica del do ut des.  L’antifascismo non è un optional, non è una fissazione della sinistra a corto di contenuti identitari, non è un logoro strumento per delegittimare le destre. Al contrario, l’adesione senza equivoci alla cultura antifascista è la precondizione per riconoscersi davvero dentro la stessa cornice di valori costituzionali e per impedire alla radice il ritorno di posizioni nostalgiche, antidemocratiche e razziste delle quali gli ebrei italiani, tutti, dovrebbero avere ben chiare le conseguenze.

[Titolo redazionale]

da “newsletter di Sinistra per Israele”, n.4 settembre 2024

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