I due volti del Leoncavallo

di angelo perrone

Lo sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano, dopo oltre trent’anni di occupazione, riporta alla luce il nodo irrisolto del rapporto tra legalità, politica e fermento sociale. La notizia, che ha visto il sindaco Sala disconoscere la mossa e la premier Meloni ribadire l’assenza di “zone franche”, è uno spaccato delle contraddizioni che governano le nostre scelte.

Il caso Leoncavallo, in particolare, evidenzia come i giudizi politici siano spesso condizionati dalle convenienze del momento. Il cambio di rotta di Matteo Salvini è forse l’esempio più emblematico: ieri difensore del “Leonka” come luogo di “confronto” e “divertimento”, oggi leader di un esecutivo che esalta la legalità e la tolleranza zero verso le occupazioni.

Questo mutamento non è solo la dimostrazione di come le posizioni possano evolvere, ma anche di come la percezione di un’esperienza possa cambiare a seconda del ruolo che si ricopre e della politica che si intende promuovere.

La difficoltà, e la sfida per una società matura, sta proprio nel trovare un punto d’equilibrio tra la repressione indiscriminata e la tolleranza totale. Come distinguere il valore di esperienze sociali e culturali, che pur nascono al di fuori degli schemi ordinari, dal rispetto imprescindibile della proprietà privata e della legalità?

È una domanda che si scontra con l’ambiguità di questi luoghi, spesso capaci di generare cultura e aggregazione, ma che rimangono, per loro natura, in una zona grigia rispetto alle norme. La vicenda del Leoncavallo, in questo senso, più che una semplice cronaca, è il racconto di una tensione che il nostro Paese non ha ancora saputo risolvere, lasciando che il giudizio muti a seconda del colore politico del momento.
 

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