di angelo perrone
La grande questione della separazione delle carriere si riduce a siparietto tragicomico. Un passaggio storico, il terzo di quattro voti, finisce in pagina per un applauso. Ironico, sfottente, irridente. Nemmeno questo. Solo l’accusa di un applauso che poi sarebbe una semplice pacca sulle spalle, tra quei due, i più contenti dell’evento. Sempre loro, il maestro del diritto e l’erede berlusconiano, accoppiata di ferro.
Che pena vedere un’aula parlamentare, teorico tempio del dibattito civile, degenerare in un gesto improprio di esultanza e poi in una rissa. Il dramma, il vero, straziante dramma, è, con la riforma, il suo avvilente contorno. Il sacro si scontra con il ridicolo, e il confronto sulle idee si dissolve in una bagarre di stile, una questione di etichetta degna di un galateo scadente.
L’unica via d’uscita è il cambio di argomento, una fugace, e probabilmente ipocrita, preoccupazione per Gaza, usata per non dover ammettere che un tema così grave sia stato trasformato in un fastidioso prurito di costume. L’Italia, culla del diritto, si scopre un teatro dove si urla quando basterebbe discutere.
Trovo critico e pertinente l’articolo che denuncia come certi gesti simbolici nel parlamento sembrino ridicolizzare temi seri come la giustizia. Serve più concretezza, meno teatrini. Se vogliamo cambiare le cose, dobbiamo iniziare da rispetto e serietà.
Secondo me la giustizia non può diventare un teatrino politico. Troppo spesso vediamo gesti simbolici che non cambiano nulla nella realtà. Mi fa arrabbiare che si perda tempo, mentre i cittadini aspettano soluzioni concrete ai problemi veri.