Lo stato sociale è un argine al populismo. All’incontro degli Stati Generali del liberalismo (vedi programma sul numero del Nonmollare qui allegato) se ne discuterà con economisti e personalità della politica italiana e non solo italiana in occasione di una nuova pubblicazione del celebre Report di William Beveridge, con un’introduzione di Giovanni Perazzoli. La proposta politica ruota intorno a un punto forte: che cosa ci può dire ancora l’universalismo liberale di William Beveridge? Occorre prendere atto che Beveridge ha effettivamente cambiato la società europea. Nonostante i decenni passati dalla sua pubblicazione esiste ancora la tendenza a credere che lo stato sociale sia semplicemente un modo di tamponare la povertà. Con la sua relazione, l’economista Gianfranco Viesti pone dunque la domanda da cui dobbiamo partire: lo stato sociale è solo una risposta passiva alla povertà, oppure è una risposta attiva che si è dimostrata capace negli anni di potenziare l’ascensore sociale?
Gli Stati Generali del Liberalismo sono dunque dedicati a un tema liberale, che l’opinione pubblica fatica però a classificare come liberale.
Sul tema della povertà occorre tornare a riflettere dopo l’introduzione anche in Italia di un reddito di cittadinanza sul modello europeo. È una riforma che soffre senza dubbio di una certa improvvisazione, ma contro il quale si sono scatenati dei pregiudizi che nascono dalla storia italiana, sia della destra e che della sinistra. Siamo ancora lontani dal modello sociale europeo. Occorre impedire che la povertà venga confinata di nuovo ai margini. Nella prospettiva di Beveridge, lo stato sociale che funziona è una risposta attiva in chiave liberale, sempre che del liberalismo si abbia un’idea coerente con la sua storia e con i suoi ideali. L’universalismo ha cambiato il volto dell’Europa: ma che cosa c’è ancora da fare in Italia? Il fallimento delle risposte demagogiche e populiste impone di riflettere sul successo decennale del modello sociale europeo. Oggi il concetto di povertà non è più quello degli inizi del 900. La povertà non è più vista come un fallimento individuale, ma come un fallimento dell’amministrazione pubblica. Dal punto di vista concettuale, l’universalismo ha mutato l’idea di povertà, riconoscendo che la povertà non è solo un problema morale o di “buona volontà”: è un problema che può essere affrontato, secondo Beveridge, in chiave scientifica, senza demagogia. L’origine della povertà nasce infatti da una mancanza che si trova a monte e che non può essere risolta a valle aiutando “i poveri”. Lo stato sociale deve intervenire prima che la povertà si determini nei suoi effetti estremi. Il punto su cui occorrerà ancora riflettere a proposito del Report di Beveridge è che l’universalismo liberale taglia il rapporto di dipendenza del povero dal potere, limita il potere dal punto dii vista della sua capacità di creare clienti e consenso e valorizza l’individuo. Lo stato sociale è una parte essenziale della rivoluzione liberale.
Critica liberale