la voce della fogna

di marco cianca

Non parlano, eruttano. Dalle loro bocche fuoriescono lapilli gastrici rovesciati sul nemico di turno per lordarlo e pietrificarlo. Sindacati, opposizione, magistratura, giornalisti, intellettuali. E poi le organizzazioni non governative, l’Europa, la Francia o la Germania, a rotazione, secondo le circostanze. Il capo dello stato e il Papa sono osservati speciali, ogni tanto qualche scoria verbale raggiunge anche loro, così, per avvertimento.

L’attuale maggioranza soffre di un continuo mal di pancia. Poveretti, devono avere lo stomaco pieno di residui ideologici che non riescono a digerire. E così, ora che possono, ora che hanno il potere, danno libero sfogo ai loro rabbiosi borborigmi, trasformandoli in atti d’accusa, in proclami, in atti di governo.

Grida, Giorgia Meloni. Tuona, Matteo Salvini. Minaccia, Andrea Crippa. Blatera, Francesco Lollobrigida. Esondano, Giovanni Donzelli e Augusta Montaruli. No, non gli vanno proprio giù, le critiche. Da qualsiasi parte vengano, sollecitano la loro dispepsia politica. E allora, con l’intestino ritorto, devono buttare fuori quello che non assimilano. Cioè tutto, eccetto le proprie stolide convinzioni.

 “Il fascismo espelleva dalla Nazione tutto quello che secoli di servitù le avevano iniettato di nocivo. Democrazia, massoneria, laicismo, marxismo, materialismo, illuminismo, parlamentarismo, utilitarismo, positivismo, radicalismo, centrismo, tutto era vomitato dall’Italia in una salutare colica liberatrice”. Questa frase, contenuta in un doppio volume di elogio del Ventennio, rende bene l’origine e il decorso della malattia.

Gli attuali biliosi dovrebbero farsi curare le nostalgiche interiora da Marco Tarchi, che negli anni bui del terrorismo fondò e diresse “La voce della fogna”.  Una rivista, per dirla con Marco Revelli, che inaugurava un nuovo modo di stare a destra”. Ironia ed autoironia come alternativa alla violenza di allora, la satira quale antidoto all’autocompatimento. La scelta di uscire dal ghetto, come spiegò lo stesso Tarchi, e respirare aria nuova.

E invece, quando ascoltiamo le invettive umorali di chi oggi siede nella stanza dei bottoni, viene il sospetto che si sentano ancora in un ghetto, no a Palazzo Chigi.

Certo, questi comportamenti potrebbero sortire, in un’eterogenesi dei fini, un effetto positivo, quasi catartico. Nel senso che, quando viene fuori tutto, si produce uno spurgo generale e nei tubi scorre di nuovo acqua fresca. Ma solo a patto che si possano tirare via tutti i cascami e prosciugare i ristagni. Ecco, il dubbio angoscioso è proprio questo, che manchino gli anticorpi e che i liquami infettino porzioni sempre più ampie della società, in un contagio spaventoso.

I due volumi sulla funzione positiva del vomito fascista uscirono nel 1960, l’anno dell’appoggio missino al governo Tambroni. Riportiamo qualche altra frase: “Dobbiamo eterna gratitudine a Mussolini per averci fatto vivere in un mondo di sogno”; “Sotto il suo regno non era più concepibile l’italiano famelico e stracciato, umiliato e sfruttato, inviso e frustato, immancabile sguattero di tutti i potenti. La cortigiana compiacente aveva ceduto la scena alla Mater romana, lo sciuscià al balilla, il maccheronì al legionario, il mezzano al lavoratore”; “Mussolini volle perfino cancellare il ricordo di tanta vergogna e nelle sue parole ogni pagina di storia italiana divenne fulgente, ogni miseria bandita, ogni sciagurata memoria epurata”; “Mussolini comandava per servire, lavorava da Capodanno a San Silvestro in un Paese in cui era, ed è, sempre festa” (ricordate che ha detto Meloni convocando il consiglio dei ministri il primo maggio?).

I giovani con le magliette a strisce impedirono ai missini di tenere il loro congresso a Genova. Tambroni cadde.

Maurizio Landini mobilita la piazza a difesa della Costituzione. I manifestanti dovranno portare l’ombrello per proteggersi dai rigurgiti governativi.

[da “Il diario del lavoro”, 2 ottobre 2023]

 

 

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