Dazi UE-USA: la resa al bullismo di Trump

di angelo perrone

 L’accordo raggiunto tra Stati Uniti ed Unione Europea sui dazi rappresenta un capitolo preoccupante nelle relazioni transatlantiche. Dapprima Antonio Misiani (PD) l’ha commentato come una “resa senza condizioni” e un “patto capestro“, poi la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha parlato di “subalternità” agli Usa.

La retorica di Donald Trump, basata sull’idea di un’America svantaggiata e vittima di accordi commerciali iniqui – un “riequilibrio” lo ha definito erroneamente Ursula von der Leyen, sposando un falso narrativo – ha imposto una logica distorta che l’Europa non è riuscita a controbattere.

Trump dipinge un quadro sbilanciato, dove gli Stati Uniti subiscono passivamente un deficit commerciale generalizzato. Questo è un falso. Se è vero che esistono partite passive per gli USA in settori manifatturieri specifici (ad esempio, le auto tedesche o i prodotti agricoli europei), è altrettanto vero che gli Stati Uniti godono di un enorme surplus in settori chiave e ad alto valore aggiunto, primi fra tutti i servizi digitali.

Le grandi piattaforme tecnologiche americane dominano il mercato globale, generando flussi di profitto imponenti che, se contabilizzati correttamente nell’interscambio complessivo, ridimensionano drasticamente qualsiasi “svantaggio” americano.

L’errore dell’Europa risiede proprio nell’aver accettato di negoziare su un terreno predefinito dalla narrazione americana, senza imporre con forza la propria contro-narrazione basata su dati completi. La von der Leyen, nel parlare di “riequilibrio”, ha legittimato l’assunto di partenza di Trump, invece di sfidarlo.

Non si tratta solo di dazi sull’acciaio o sui prodotti agricoli, ma del riconoscimento del valore dei rispettivi modelli economici. L’Europa, con la sua economia basata su manifattura di qualità, stato sociale e un approccio più regolatorio al digitale, ha permesso che la discussione si focalizzasse solo sui suoi punti deboli percepiti, ignorando i propri punti di forza e le vulnerabilità americane in altri settori.

Questa posizione remissiva riflette una mancanza di compattezza o di determinazione nel difendere gli interessi europei. Il concetto di “resa senza condizioni” è amaro ma pertinente: l’Europa ha accettato condizioni sfavorevoli, e ha permesso che la base argomentativa della negoziazione fosse distorta da una propaganda nazionalista.

Le conseguenze potrebbero essere pesanti. Il “contraccolpo molto duro” non si limiterà agli scambi commerciali, ma potrà erodere la fiducia reciproca, indebolire le catene di valore globali e, peggio ancora, instillare il dubbio sulla capacità dell’Europa di agire come attore geopolitico assertivo.

Sono proprio “i sovranisti che teorizzano il protezionismo” (citati da Misiani) le forze interne che, purtroppo, minano l’unità europea, rendendola vulnerabile alle pressioni e incapace di parlare con una voce sola. Questo patto, più che un accordo, appare come una concessione all’altra parte in nome di una pace, dettata dalla Realpolitik, che rischia di essere solo apparente: una sconfitta strategica.

 

 

 

 

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