Archivi categoria: società pannunzio per la libertà d’informazione

MISERIA E NOBILTA’

di samuele bartolini

E’ come quando ero piccino. Quando da ragazzi eravamo alla partita del Castelluccio e passavamo il tempo a lanciarci giù dal ‘grottone’, macchiando i calzoni di verde. Anche ora sto rotolando giù. Ma a differenza di quando ero ragazzo, ora non mi diverto. Al contrario. Sto male. Di più. Sto malissimo. E non vedo il fondo. Dopo otto anni di onorato servizio e lenta ma costante crescita professionale, mi sono dimesso dal Tirreno.

Sono andato via io. Non sentivo più niente di interessante da scrivere. Soprattutto aveva perso di senso, piano piano, il mio lavoro: rincorrere il politico di turno per la polemica del giorno, prendere il tipo del giorno e fargli l’intervista, persino le manifestazioni della Gkn mi davano fastidio. Qual è stato il problema? All’inizio sono stati i compensi del nuovo editore: Sae. Poi parlo della considerazione per quanto fatto negli anni scorsi da parte di chi mi avrebbe dovuto valorizzare e non l’ha fatto. Non potevo continuare a scrivere e vedere a fine mese un’entrata pari a poco più di uno stagista.

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LE BUFALE DI REPUBBLICA 3.0 (NON CORRETTE)

TESTI di nicola vallinoto, lucio levi e antonella braga (con una premessa di e.ma.)

 Ormai il disfacimento del giornalismo nel nostro paese avanza a grandi passi. E così la prevalenza delle bufale e degli errori marchiani. Nonché della scorrettezza dei Direttori che, senza alcun rispetto per i lettori, evitano di correggerli. La vicenda raccontata qui di seguito è clamorosa: su “Repubblica 3.0” (quella della gestione Molinari) compare un’intervista di tre pagine a Scalfari firmata addirittura dallo stesso Direttore. Scalfari se ne esce con uno svarione incredibile per uno che si autoproclama l’ultimo grande discendente del mondo liberalsocialista, federalista, pannunziano. Il Fondatore confonde il federalismo con il modello confederale (che è l’opposto e che viene sostenuto da Meloni). Insomma viene scambiato Spinelli con la capa di Fratelli d’Italia. In tutta “Repubblica 0.3” nessuno si accorge dell’errore, addirittura ripetuto due volte, talmente dilagante è l’ignoranza o la trascuratezza.  O forse nessuno vuole contraddire il Direttore e il Fondatore. Il Direttore stesso dà il cattivo esempio: almeno le interviste da lui firmate se le potrebbe leggere. I Federalisti ovviamente si arrabbiano, inviano la smentita, ma Molinari la fa pubblicare sull’online ma sul quotidiano cartaceo (dove la bufala è stata pubblicata) furbescamente la nasconde in una rubrica di solito dedicata a tutt’altri problemi. Nello spazio delle Lettere al giornale, luogo destinato ad accogliere le rettifiche, la segnalazione dell’errore è censurata. Ci dispiace constatare che gli editori e i Direttori ancora non capiscano che la concorrenza micidiale del web può essere contrastata soltanto con la maggiore autorevolezza e attendibilità della carta stampata e non con la rincorsa alla sciatteria e all’approssimazione tipica della Rete. [e.ma.]

 LA CONFEDERAZIONE EUROPEA È L’OBIETTIVO CHE UNISCE ALTIERO SPINELLI E GIORGIA MELONI?

di nicola vallinoto

Sembra incredibile ma è quanto si potrebbe dedurre dalla lunga intervista realizzata dal direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, al fondatore del giornale Eugenio Scalfari (edizione del 2 gennaio 2021). Nella parte conclusiva dell’intervista si legge che «Rinnovare il nostro paese non basta più. Serve la Confederazione europea di cui parlava Altiero Spinelli». Si potrebbe pensare a un semplice svarione ma qualche riga dopo l’intervista viene conclusa così: «C’è qui un ruolo per l’Europa: dare vita ad una grande confederazione partendo dalle coste più minacciate, dal Baltico fino al Mediterraneo».

Federazione e confederazione sono due termini che contraddistinguono due proposte politiche distanti, come ci ricordano bene gli studiosi federalisti Lucio Levi ed Antonella Braga in due lettere inviate al direttore Molinari dopo la pubblicazione dell’intervista. A conferma di ciò la leader dei Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei, pochi giorni prima, in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera (28 dicembre 2020) ha voluto ribadire la sua visione di Europa basata su un modello confederale alternativo al modello federalista.

È possibile che Eugenio Scalfari non conosca la differenza tra i due modelli? E se così fosse il direttore Maurizio Molinari non avrebbe potuto farglielo notare? L’aspetto più inquietante è che entrambi possano non conoscere la differenza. Il che pare da escludere perché in passato sia Molinari che Scalfari hanno già usato questo termine. Il primo ne ha parlato come possibile soluzione per la situazione israelo palestinese facendo riferimento alla proposta di Confederazione avanzata da Reuven Rivlin come «un modo per far vivere i due Stati assieme tenendoli separati». Il secondo in uno dei tanti editoriali come quello del 5 luglio 2015 «Non navi d’altomare ma scialuppe senza un futuro» in cui, parlando dell’integrazione europea, disse che «I governi confederati si rassegnano ad una normale integrazione purché non metta in discussione la sovranità politica. Non vogliono essere federati, non vogliono gli Stati Uniti d’Europa che li declasserebbero».

Per tutti questi motivi è auspicabile che il direttore Molinari pubblichi la dovuta rettifica certi che i lettori del quotidiano non gradirebbero vedere Giorgia Meloni sullo stesso piano di Altiero Spinelli. 

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Odio online, per contrastarlo la Francia approva la peggiore legge possibile

di guido scorza   (da fatto.it blog)

Tutti – o, almeno, la maggior parte di noi – vorremmo vivere in un mondo più civile, in un mondo nel quale si ha più rispetto gli uni degli altri, in un mondo nel quale gli ultimi sono trattati come i primi, in un mondo nel quale non ci sono “diversi” e nessuno è discriminato per il suo aspetto fisico, per quello in cui crede, per le sue idee, per la sua condizione di salute o per le sue abitudini sessuali, in un mondo nel quale la violenza verbale, tutta, inclusa quella online, è sostituita dall’educazione.

E tutti i governi – o almeno la più parte – hanno, di conseguenza, l’ambizione, il compito, la funzione e la responsabilità di assumere decisioni e dettare regole capaci di dar corpo a questi aneliti.

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UNA MARCHETTA AL GIORNO TOGLIE IL LETTORE DI TORNO – LE MARCHETTE DI “REPUBBLICA” E DEL “CORRIERE DELLA SERA”

di  e. ma.

Ormai i giornali vengono scritti dagli uffici pubblicitari e firmati da giornalisti compiacenti. Lo scandalo non è nuovo, ma prima colpiva soprattutto i giornali di moda o quelli specializzati. Ora dilaga sui quotidiani generalisti. La deontologia vuole che se si pubblica un articolo con pubblicità occulta (si fa per dire) si compie una grave violazione contro i lettori che possono presumere che la “notizia” sia un prodotto giornalistico ma al contrario è solo un mascheramento di una pubblicità.  Ovviamente manca sempre la doverosa scritta “Informazione pubblicitaria”. Come in questo caso. Però il quotidiano non fa mancare addirittura nel sommario il prezzo del prodotto,  né una scorrettissima stoccata alla concorrenza. Naturalmente l’articolo è corredato dalla fotografia dei biscotti, prevedendo il caso che qualche lettore non capisse bene.

In questi giorni “la Repubblica” di Verdelli sembra addirittura scatenata in questo imbroglio verso i lettori. Ovviamente l’Ordine dei giornalisti tace, dimostrando ancora una volta la sua assoluta inutilità, anzi la sua complicità. E anche i Comitati di redazione riposano sotto le coltri.

A proposito, complimenti al valoroso giornalista che ha firmato un memorabile articolo. Vincerà sicuramente il Premio Daphne Caruana Galizia.

Ripubblichiamo l’articolo di “Repubblica” di oggi, togliendo il nome della Ditta pubblicizzata  e modificando la dichiarazione di Verdelli, rendendola più aderente alla verità. 

Ma  il “Corriere della sera” non accetta d’essere distaccato e pubblica sul suo  “Economia” la stessa foto che correda una marchetta analoga dal titolo intrigante: “Tutti pazzi per i biscotti alla Nutella, perché sono introvabili sugli scaffali dei supermercati?”, firmata da  Alice Scaglioni. che ha un incipit stendhaliano: “Si potrebbero forse contare sulle dita di una mano quelli che non hanno ancora assaggiato almeno un XXXXXXX”.  Non vorremmo scrivere presto che forse si contano sulle dita di una mano i giornalisti  non marchettari.

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GIORNALI MARCHETTARI 2

ANCORA   E’  LA VOLTA   DE “LA REPUBBLICA”.  FRESCA DI GIORNATA   E’   LA MARCHETTA PUBBLICATA DA  “AFFARI E FINANZA” , SUPPLEMENTO DE “LA REPUBBLICA” [VEDI FOTO]. CONTINUA IMPERTERRITA LA PUBBLICAZIONE DI PUBBLICITÀ MASCHERATA DA NOTIZIA. E L’ORDINE DEI GIORNALISTI NON VEDE, NON SENTE  E SOPRATTUTTO NON PRENDE PROVVEDIMENTI. ALLA PROSSIMA….

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GIORNALI MARCHETTARI

di enzo marzo

Una delle piaghe che affliggono il giornalismo italiano è nella diffusione di un malcostume ormai diventato irrefrenabile. Non che non ci sia sempre stato, ma ora si esagera. Quando fondammo la “Società Pannunzio per la libertà d’informazione” redigemmo dei dossier sullo stato della comunicazione sia su carta stampata sia su Internet. Con critiche e proposte. Ci eravamo proposti di comporre anche un rapporto sulla pubblicità occulta. Alla fine dovemmo rinunciarci perché era impossibile compilare un testo con qualche completezza, considerata l’ampiezza del fenomeno: giornali femminili ridotti a cataloghi aziendali, infiltrazioni d’ogni tipo in testi redazionali, fine della critica artistica sostituita da paginate pagate dagli assessori alla cultura, addirittura contratti tra l’Ansa e Regioni. E così via. Il malvezzo, che nel mondo giornalistico è chiamato “marchetta”, si insinua dappertutto in totale spregio del lettore acquirente del giornale cui viene occultamente apparecchiato un prodotto propagandistico inquinato. Il lettore non ha difesa, se non di smettere l’acquisto di quella pubblicazione. E così sta avvenendo. I Direttori, prigionieri degli Uffici pubblicità, sono arrendevoli, senza capire che nella competizione della comunicazione tra giornali stampati e Internet, la carta può sopravvivere soltanto se contrappone alla quantità l’autorevolezza e la serietà della sua informazione.

Noi della “Pannunzio” abbiamo elaborato uno “Statuto dei diritti dei lettori” (1), ma sia gli organi sindacali sia le stesse associazioni di difesa dei consumatori sono refrattari. Recentemente, qui sopra, abbiamo riportato l’esempio di una pagina di attualità che aveva al suo interno un messaggio sia fotografico sia di testo che, senza vergogna, faceva pubblicità occulta a un marchio alimentare. Si trattava della “Gazzetta dello sport”. È ovvio che tutto ciò può accadere impunemente soltanto per due ragioni: la prima è che l’Ordine nazionale, che dovrebbe sanzionare duramente sia il Direttore sia il giornalista che firma (o è costretto a firmare) l’articolo-marchetta, è peggio delle tre scimmiette. Forse dovrebbero intervenire altre autorità contro ciò che è un falso, ma non lo fanno. Non resta che denunciare pubblicamente ai lettori i vari casi sperando che ciò costituisca un deterrente. Noi continuiamo con il “Corriere della sera” e “la Repubblica”. Che si stanno mangiando la loro presunta “autorevolezza”.

(1) Chi desidera conoscere (gratuitamente) le proposte della Società Pannunzio le può chiedere a info@criticaliberale.it

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L’OCCASIONE MANCATA DEGLI STATI GENERALI DELL’INFORMAZIONE

di marco patricelli

Il dubbio amletico di Nanni Moretti, il quale si lambiccava il cervello se lo si notava di più se andava oppure se non andava, è stato sciolto dai vertici dell’Ordine e della Federazione Nazionale della Stampa in senso negativo. Di qui la ferrea decisione di non partecipare agli Stati Generali dell’editoria promossi dal sottosegretario Vito Crimi.

Non c’è che dire, a notare l’hanno notato tutti, a capire non ha capito quasi nessuno. Si parla di un fenomeno, l’editoria, che boccheggia e che ha disperato bisogno di ossigeno senza sapere da dove può arrivare, e si sceglie di disertare il campo di confronto. Non capisco ma mi adeguo, diceva un personaggio arboriano di “Quelli della notte”.

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 “BREXIT E TRUMP, COME I SOCIAL HANNO CANCELLATO LA DEMOCRAZIA”

di carole cadwalladr, la cronista dell’Observer che ha sollevato lo scandalo di Cambridge Analityca, ha parlato al TED di Vancouver dell’influenza dei social sulla Brexit e dei pericoli a cui essi hanno esposto le democrazie mondiali. Il paradosso è che uno degli sponsor principali del TED canadese è proprio Facebook.

Vancouver, 6 maggio 2019

“Il giorno dopo il voto sulla Brexit, quando la Gran Bretagna si è svegliata con lo choc di scoprire che stavamo davvero lasciando l’Unione Europea, il mio direttore al quotidiano Observer, mi ha chiesto di tornare nel Galles meridionale, dove sono cresciuta, e scrivere un reportage. E così sono arrivata in una città chiamata Ebbw Vale, nelle valli del Galles meridionale, che è un posto abbastanza speciale. Aveva questa sorta di cultura di classe operaia benestante, ed è celebre per i cori di voci maschili gallesi, il rugby e il carbone. Ma quando ero adolescente, le miniere di carbone e le fabbriche di acciaio chiusero, e l’intera area ne è rimasta devastata. Ci sono tornata perché al referendum della Brexit era stata una delle circoscrizioni elettorali con la più alta percentuale di voti per il “Leave”. Sessantadue per cento delle persone qui hanno votato per lasciare l’Unione Europea. E io volevo capire perché.

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LINEE GUIDA PER UNA PRIMA RIFORMA DELL’EDITORIA DELLE IMPRESE GIORNALISTICHE E TELEVISIVE

di enzo marzo, portavoce della “Società Pannunzio per la libertà di informazione”

In attesa che maturi nel dibattito pubblico la consapevolezza della necessità di giungere alla separazione tra il potere mediatico e gli altri due poteri (economico e politico), così come è stato delineato nel mio Le voci del padrone (edizioni Dedalo, Bari, 2006), è urgente almeno perseguire la finalità dell’indipendenza dei media da una imprenditorialità che non abbia come unico scopo l’impresa editoriale.

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