TORNATE  A REGOLE SERIE, NON E’ PIÙ TEMPO DI TRUFFE

di enzo marzo

Sarà che sono passatista come Paolo Franchi, ma ho trovato il suo articolo sul “Corriere” tra i più sensati di questi giorni in cui non si smette di straparlare senza badare alla durezza dei numeri usciti dalle urne. Calenda, improvvisatosi di centrosinistra, se ne è uscito con un “basta con l’autoflagellazione”. Quando addirittura prima delle elezioni, e figuriamoci dopo, non si è parlato d’altro che delle maggioranze future, e i risultati sono stati archiviati senza uno straccio di analisi del perché si è scatenato lo tsunami.

Lotti, per dimostrare che è più sciocco di quello scioccherello del suo padrone, se l’è presa con la minoranza senza chiedersi come mai Renzi per anni si è costruito con pervicacia, masochisticamente, sconfitte su sconfitte. Senza che a trattenerlo per la giacca ci fosse qualcuno dei suoi famigli pensoso del proprio futuro. Altro che autoflagellazioni. Manca poco che nella mente vuota dei renziani tra qualche settimana si immagini il voto come il frutto di un destino “cinico e baro” o si pensi davvero a ridursi in una specie di Udc, in un plotone di avventurieri mercenari immerso nella palude centrista. Altrimenti tante dimissioni sarebbero dovute fioccare.

Noi abbiamo seguito passo passo la rovinosa condotta di Renzi e non abbiamo mai avuto pietà, ogni volta lo abbiamo giudicato per come ci appariva evidente: un demagogo dilettante con velleità autoritarie, un bugiardo senza scrupoli e votato alla sconfitta. [Per giudicare davvero la consistenza di Renzi basta riguardare su Youtube la sua conferenza stampa ad Antalya, in uno dei momenti più tragici della storia recente, dove disse di fronte ai grandi della terra che l’Italia aveva sconfitto la mafia. Come se rifilasse una bufala nella sezione Pd di Rignano]. La vera fine di Renzi paradossalmente non ha coinciso col voto del 4 marzo, ma con la scena patetica e buffonesca delle dimissioni date e non date, sospese e condizionate. False dimissioni che lo statista poche ore dopo è stato costretto a rendere vere, costretto a finire di giocare.

Dopo questa digressione, che però c’entra, torniamo a Franchi. L’editorialista del “Corriere” scrive: “Quel che resta della sinistra italiana avrebbe il dovere primordiale di guardare in faccia i tanti perché di una sconfitta storica, più grave ancora di quella del 18 aprile 1948, peggiore persino di quelle subite all’indomani del crollo dell’Urss e del socialismo reale; e di stabilire da dove, e in nome di chi, e di che cosa, provarsi a ripartire. I congressi veri, che sono cosa diversa dalle primarie, si facevano per questo, e non deve essere un caso se nello statuto del Pd non se ne parla. Datecene ancora uno, fosse anche l’ultimo, se ne siete capaci”.

La pensiamo nello stesso modo e lo scriviamo da dieci anni. La bufala della fine della distinzione destra-sinistra e la retorica populista del superamento della forma-partito sono tra le cause maggiori della fine della Politica e del marcio in cui siamo affondati. Non sarebbe male che la riedificazione di un partito vero di centrosinistra partisse dalla discussione su regole non fraudolente. Franchi rivela la nostalgia per un “luogo” dove i rappresentanti dei militanti si incontrano e si scontrano su posizioni politiche espresse chiaramente, persino scritte in mozioni. Dove prima si discute e poi si vota (in modi tutti da ripensare), e non il contrario. Certo, bisognerebbe avere la capacità di superare l’orizzonte di un twitter. Oggi la truffa delle primarie aperte ha incentivato la massima personalizzazione del leader, ha dato forma al partito che si fa populista aprendosi all’imbroglio del voto anche di passanti, di cinesi, di prezzolati, persino di avversari che si scelgono l’antagonista più fesso o più amico. Abbiamo visto sindaci di destra andare a votare sfacciatamente per Renzi. Il tutto senza alcun controllo, né garanzie esterne sulla regolarità delle votazioni e dei risultati. Come se si giocasse a Monopoli.

Allora ci domandiamo: perché almeno non tentare di ricreare clima e regole serie per discutere ogni anno nomenclatura e leadership nuove come presupposti di una linea politica chiara. Si fa così nei paesi e nei partiti “virtuosi”. Forse è troppo tardi, ma se non si imbocca il sentiero tortuoso della serietà la fine è irreversibile.

 

[foto: Il Post]