IL TRIONFO DEL TRASFORMISMO : MELONI SI PRENDE “CANI & PORCI” – ELISABETTA GARDINI, COME VOLTAGABBANA NON LA BATTE NESSUNO – DALLE QUOTE ROSA ALLE QUOTE NERE

di giuseppe pietrobelli , “Il fatto quotidiano”,  30 agosto 2020

In Veneto Meloni prende tutti: 25 candidati su 55 vengono da altri partiti. Esodo da Forza Italia, ma anche Lega e M5s pagano dazio. Nomi storici, voltagabbana cronici, berlusconiani non più fedeli: le liste di Fratelli d’Italia per le prossime elezioni regionali sono piene di transfughi. È il frutto di una serrata campagna acquisti orchestrata dall’eurodeputato Sergio Berlato. C’è anche chi proviene da Salvini o Cinquestelle. E chi si avvale dei servizi professionali di uno spin doctor vicino al Pd.

Non era riuscito ad evitare una frecciatina, l’ex presidente provinciale di Coldiretti, nonché ex vicepresidente di Verona Fiere, Claudio Valente, quando ha annunciato l’adesione a Fratelli d’Italia, con candidatura alle prossime Regionali. Il 3 marzo scorso, presenti il coordinatore regionale Lucio De Caro e quello provinciale Ciro Maschio, aveva detto: “Io non provengo da alcun altro partito…”. Ha sbandierato l’unicità della propria scelta perché sul carro della Meloni, in Veneto, sono saliti tutti e di più, praticamente la metà dei candidati, provenienti in particolare da Forza Italia. Voltagabbana? Cambiacasacche? Forse. Sicuramente hanno trovato un polo d’attrazione di destra nel centrodestra. E così vengono strappati a ciò che resta dell’esercito di Silvio Berlusconi bacini di consenso e uomini che, andandosene, non hanno risparmiato critiche feroci. In Veneto Fratelli d’Italia presenta 55 candidati, 9 nelle cinque province più popolose, 5 a Rovigo e Belluno. La bellezza di 25 candidati hanno fatto il salto della quaglia, più o meno recente, frutto di una serrata campagna acquisti orchestrata dall’eurodeputato Sergio Berlato. C’è anche chi proviene da Lega o Cinquestelle. E chi si avvale dei servizi professionali di uno spin doctor vicino al Pd.

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per favore, un po’ di umanità

de la lepre marzolina

Lo so che Briatore è il prototipo dell’italiano imbroglione, volgare e ignorante, nulla da eccepire, lo so che ha impestato mezza Italia, ma credo proprio che per quante malefatte abbia compiuto non è da paese civile condannarlo a 14 giorni di domiciliazione coatta assieme alla Santanchè. Dopotutto l’Italia deve rispettare l’art. 1 della Convenzione ONU del 1984, nonché l’art. 613-bis del codice penale che prevede esplicitamente che la tortura si realizza anche con gravi crudeltà (ovvero con trattamento inumano e degradante). Sono indignato. Basti vedere come la domiciliazione coatta con la Santanchè abbia distrutto il suo “fidanzato” Sallusti, che torturato per troppo tempo non si è più ripreso e ora non riesce a scrivere un editoriale che non sia indecente.

LA MIA TERZA REPUBBLICA (QUELLA CON UN PIZZICO DI SERIETÀ E DI RIGORE) 1 – Manlio Di Stefano (M5s)

la lepre marzolina

Manlio Di Stefano (M5s) scrive collocando Beirut in Libia. È un uomo di governo: sottosegretario agli Esteri nei due governi Conte. Senza vergognarsi nemmeno per un attimo, arrogantemente, non chiede neppure scusa.

Problema che un governo della mia Terza repubblica risolve in dieci minuti: dimissioni e sostituzione con un suo collega di partito che abbia frequentato con qualche profitto la scuola dell’obbligo. 

Di Stefano fu molto apprezzato quando alla fine del 2017 disse: “Abbiamo fatto capire a tutti i nostri militanti che il percorso deve essere fatto di buone pratiche e di democrazia. Non parliamo di governo tecnico o politico, ma di governo competente, sceglieremo le persone migliori che questo Paese ha da offrire se dovessimo formare un governo”.

IL TRIONFO DEL RIDICOLO: COME DRAGHI DIVENTA CHURCHILL E MORRICONE MOZART

Il corona virus ha senz’altro un piccolo merito. Mai come in questi mesi è stato messo a nudo fino a che punto la stampa nazionale è lo specchio del paese. Ne è uscita un’immagine a tratti ripugnante. Gli esempi sono tanti, troppi. Cominciamo dall’ultimo.

Mario Draghi, intervenendo alla kermesse “suoni e luci” della più malfamata associazione cattolica che da decenni sposa Fede & Affari (il più famoso di Cl rimarrà sempre il Celeste corrotto), ha pronunciato un discorso totalmente pieno di niente. C’è voluta grande abilità a copiare tutti i luoghi comuni di un qualunque politicante di oggi con lo spartito già usurato: giovani, scuola, verde, lavoro, web. Ma la grancassa mediatica quasi al completo si è scatenata. Chi in odio verso Conte, chi per abitudinaria piaggeria, chi nella speranza di inciuci storici, chi auspicando –  non si sa perché – un più facile assalto alla diligenza dei quattrini europei, quasi tutti hanno scoperto che a Rimini era stato pronunciato un discorso storico alla Churchill, alla Kennedy o alla Luther King. Più probabilmente Draghi si è voluto nascondere dietro al vuoto per non cadere nelle trappole che gli stanno preparando, e al massimo si è lasciato scappare che non gli dispiacerebbe fare il ministro del Tesoro dell’Europa. Ma questo purtroppo non dipende né dalla platea né dal parterre di Rimini.

Il caso Draghi è quasi un esempio di scuola del conformismo italico in politica. Negli ultimi anni non erano mancate prove di esagerazione ridicola. Finché non si è sgonfiato da solo in un sol giorno, era diventato uno statista persino un mediocrissimo politicante di paese come Salvini. Altri politici o uomini pubblici, soprattutto deceduti, sono stati ricordati come veri eroi della patria. Basti pensare a come è stato rievocato un Cossiga, che al massimo poteva essere additato agli storici come il peggiore Presidente della Repubblica della storia del dopoguerra. Ovviamente assieme a Segni e a Napolitano. O come improvvisamente è diventato un insuperabile imprenditore un re delle mazzette come Romiti.

Numerosi altri casi hanno rivelato la totale perdita di misura e di spirito critico in tutto i campi.

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Arrestato per frode Bannon, l’uomo di trump che doveva organizzare il sovranismo in europa. La sua affettuosa amicizia con salvini e meloni, che aderì al suo Movimento. Adesso rischia vent’anni di galera

[EUROPATODAY]

Steve Bannon è stato formalmente incriminato per frode dalla procura federale di New York. Lo riferiscono diversi media statunitensi, i quali precisano che lo stratega politico di Donald Trump, già consulente della Casa Bianca, è stato arrestato e comparirà di fronte al giudice in giornata. Secondo l’agenzia Adnkronos, Bannon è accusato assieme ad altre tre persone di essersi appropriato di centinaia di migliaia di dollari raccolti dalla campagna online “We build the wall” per costruire un muro al confine degli Stati Uniti.

Le accuse

Secondo il procuratore Audrey Strauss, Bannon e altre tre persone – Brian Kolfage, Andrew Badolato e Timothy Shea – “hanno defraudato centinaia di migliaia di donatori, approfittando del loro interesse a finanziare un muro di confine, con il falso pretesto che tutto il denaro sarebbe stato usato per la costruzione”. Tutti e quattro sono stati arrestati con l’accusa di cospirazione per frode informatica e associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro. Ciascuna delle accuse negli Stati Uniti può comportare pene massime fino a 20 anni

Le amicizie in Italia

Oltre all’attivismo politico pro-Trump negli Stati Uniti, Bannon ha contribuito a fondare l’associazione internazionale The Movement per promuovere il nazionalismo economico e le idee di destra radicale. Bannon vanta infatti una rete di amicizie e interlocuzioni politiche anche a livello europeo, come testimoniato dai contatti con il Rassemblement National di Marine Le Pen, e in Italia con la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Secondo il sito d’informazione Politico.eu, lo stratega oggi agli arresti avrebbe incontrato nel 2018 l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

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SENATRICE MARZIA CASOLATI, DELLA LEGA PER SALVINI, PROFESSIONE ACCATTONA

Una senatrice piemontese della Lega, Marzia Casolati, proprietaria di una storica gioielleria a Torino, ha incassato il bonus di 1500 euro della Regione, il “Riparti Piemonte”, destinato alle attività economiche costrette alla chiusura durante il lockdown. Con i giorni aumentano gli accattoni del partito di Salvini che hanno chiesto e ottenuto i bonus, che siano i 600 euro del governo o i contributi per le aziende come nel caso della senatrice Casolati, eletta in Parlamento nel 2018 ma militante leghista da decenni e ora sospesa dal partito.

Discoteche, i gestori dichiarano solo 18 mila euro all’anno: cifre da Caritas

di alessandro robecchi  [il fatto quotidiano ]

[nella foto: il tipico proprietario di una discoteca , che per sopravvivere è costretto a integrare i suoi miserrimi guadagni notturni chiedendo di giorno  l’elemosina]

C’è sempre da diffidare quando si sente la formuletta facile che recita: “Trasformare un problema in un’opportunità”. Di solito si intende che la sfiga resta per molti, quasi per tutti (il problema), e pochi, pochissimi, colgono la palla al balzo per guadagnarci (la famosa op­portunità). Insomma, mi scuso in anticipo se userò questa formuletta in modo un po’ libe­ro, ma insomma, i tempi sono quelli che sono e quindi sì, potremmo tentare davvero di tra­sformare un problema in opportunità.

CASO DI SCUOLA: gli aiuti che lo Stato, giusta­mente, elargisce ai settori in difficoltà, sia ai lavoratori (la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori) che alle aziende. Distribuiti a pioggia e senza troppi controlli nei primi mesi dell’emergenza Covid, sono diventati u­na coperta – corta, come sempre – che ognu­no tira di qua e di là, sempre dalla sua parte, ovvio. Così la sora Meloni poteva tuonare “Mille euro a tutti”, dal bracciante a Briatore, e i capataz di Confindustria implorare di dar­li tutti a loro. Sono ben note le condizioni di partenza: una situazione drammatica mai vista, con il Paese chiuso, molte produzioni ferme, i lavoratori in casa, eccetera eccetera. Un errore, non aver messo limiti e paletti a­deguati alla distribuzione di soldi, vero, e un’unica scusante abbastanza potente: la fretta e – appunto – l’emergenza. Poi si è sco­perto che almeno il trenta per cento delle a­ziende ha fatto lavorare i dipendenti lo stes­so, pagandoli con soldi nostri (la cassa inte­grazione invece dello stipendio), il che è stato quantificato come un furto di circa 2,7 miliardi, non un dettaglio, in­somma. Questo il problema. Ve­niamo all’opportunità.

Il decreto di chiusura delle di­scoteche offre un buon esempio per la discussione. Attentato al li­bero mercato, dicono i gestori, con Salvini che si accoda, forse memo­re dei balletti con le cubiste del Pa-peete, e lady Santanchè che si fa ri­prendere mentre danza, si ribella, dice che la sua, di discoteca, non chiuderà. Tutto bellissimo. Poi vai a cercare qualche dettaglio ed eccolo qui. Proprietari e gestori di discoteche, a leggere gli studi di settore (quando ancora c’erano) e le dichiarazioni dei redditi degli anni succes­sivi, non superano in media i 18.000 euro di reddito annui, un giro d’affari che sembre­rebbe miserabile anche per una piccola salu­meria.

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d.R

Alcuni giorni fa su questo sito abbiamo scritto che il M5s non dovrebbe neppure “osare” chiedere il voto agli elettori senza, prima, aver definito la sua collocazione politica e il suo concetto di democrazia. Per non far correre il rischio all’elettore (come nel passato e nel presente) di votare un cripto-leghista o un cripto-nazista o un cripto-stalinista. O di votare un Movimento nelle mani di un’azienda privata che non subisce alcun controllo né pubblico né privato.

Sotto il sole ferragostano il Movimento ha dimostrato di persistere nella sua linea dell’ambiguità, della contraddizione opportunistica, della presa per i fondelli dei cittadini spacciando per virtuosi metodi e comportamenti che sono soltanto truffaldini. Di Maio esulta per i risultati della ultima consultazione dei grillini. Essendo affezionato alle iperbole infantili, dopo aver abolito la povertà stavolta se ne è uscito con «l’inizio di una nuova èra». Nella sua mente il voto, di fatto cucito ad personam  su Virginia Raggi, equivale a una rivoluzione. Forse è una rivoluzione ma solo matematica. Da ora in avanti le numerazioni cominceranno non più da 1 ma da 0. Vedremo se cambieranno tutte le tabelline. Da questo ferragosto si dà inizio al d.R, che sostituirà il vetusto d.C.. L’èra del Dopo Raggi, quando finalmente conta anche lo Zero.

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La riforma del Csm alla prova della Costituzione

di Angelo Perrone 

La riforma del Csm una necessità condivisa, ma quella proposta dal ministro 5Stelle Bonafede è la risposta della politica allo scandalo delle toghe, scoppiato con il “caso Palamara”. C’è il rischio di trascurare problemi di fondo per “spazzare le correnti”. In gioco è l’equilibrio tra politica e giustizia. L’indipendenza della magistratura non è privilegio dei singoli ma garanzia per ogni cittadino

Era allo studio da tempo la riforma del Consiglio superiore della magistratura, ora approvata dal governo su proposta del ministro della giustizia, il 5Stelle Alfonso Bonafede, non senza contrasti all’interno della maggioranza. Arrivare alle nuove regole però non sarà facile né rapido. Lo schema elaborato dovrà affrontare un percorso lungo, dall’esito incerto, come emerge dalle polemiche di questi giorni.

Colpisce l’intensità delle critiche. Sia tra le forze politiche sia all’interno della magistratura e dell’avvocatura. La strada sarà davvero complicata. Stavolta, accanto ai propositi mai sopiti di spingersi oltre il segno della Carta costituzionale, e dunque di alterare l’equilibrio dei poteri, è l’attualità ad offrire argomenti di rilievo al dibattito incandescente.

Il rischio è che le ragioni contingenti rendano torbida la discussione, distolgano dalle questioni essenziali, in nome della fretta e dell’emotività. Le soluzioni possono davvero diventare l’ennesimo problema. Sullo sfondo, il pericolo espresso senza mezzi termini dal vicepresidente del Csm David Ermini. Accanto alle tante cose indilazionabili, si delinea la minaccia di una (pericolosa) «riduzione della discrezionalità del Csm». Non una cosa di poco conto: l’alterazione del “volto” istituzionale del Consiglio in senso opposto al disegno costituzionale.

È evidente infatti che il progetto non risponde solo alla necessità di mettere mano ad una riforma radicale, dopo il fallimento di quella del 2006 (proponente Mastella che aveva fatto “tesoro” del lavoro del predecessore, il leghista Castelli). Piuttosto, è inevitabile leggere il testo come la risposta della politica allo scandalo delle toghe scoppiato ormai un anno fa con il “caso Palamara”, il magistrato al centro di intrighi di potere, e accusato di corruzione.

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accordi antiparlamentari

Quando sento la nomenklatura di partiti dire che la riforma Di Maio /Zingaretti sul taglio antiparlamentare è parte dell'”accordo di governo” con espressioni fatalistiche o piangendo lacrime coccodrillesche di chi come il pd o leu votò no per 3 volte su 4, mi indigno. Le costituzioni democratiche non sono appannaggio dei governi alla maniera di Lukashenko. La Costituzione appartiene al popolo sovrano e, come scriveva Piero Calamandrei, quando il parlamento la vota, i membri del governo vanno da un’altra parte.

ON. ELENA MURELLI, LEGA PER SALVINI, PROFESSIONE ACCATTONA

“Ancora piangiamo i nostri morti, ci siamo chiusi in casa tre mesi e abbiamo accettato l’elemosina dei 600 euro“.

dall’intervento di Elena Murelli, deputata della Lega per Salvini, tenuto alla Camera a nome del proprio gruppo parlamentare,  durante il dibattito sull’istituzione della giornata della memoria per la vittime da Covid-19. In effetti l’onorevole (si fa per dire) più che “accettarla” l’ha chiesta e ottenuta per sé l'”elemosina”. Lei è una dei cinque “esseri spregevoli” , come li ha definiti Mario Monti, che continueranno a sedere a Montecitorio.