un no al regionalismo all’italiana con uno sfondo (a)democratico

di antonio caputo
Dopo il flop dell’affluenza alle urne in Lombardia e nel Lazio, un paese serio metterebbe in discussione l’intero regionalismo all’italiana partitocratico e dilapidatorio esasperato dell’infausto e infelice titolo V.. Che ha accompagnato la dissoluzione servizio sanitario nazionale. Nessuno dei partiti che si sono presentati alle regionali ha messo al primo punto di un programma che per altro nessuno ha presentato una seria e radicale riforma per superare il dissennato regionalismo sanitario ripristinando in toto un servizio
sanitario nazionale universale che non ha bisogno di Lep definiti dal governo o con le autonomie differenziate addirittura da un atto amministrativo unipersonale, il dpcm. Ma è tutela concreta di qualunque malato se malato con mezzi e adeguate dotazioni ovvero in aderenza alle prescrizioni e indicazioni dei medici e del personale sanitario in tutto
il paese. Ci manca solo essere o meno curati e come solo in forza della decisione del presidente del consiglio con dpcm casomai in diretta Facebook. Il giorno prima di tirare le cuoia in attesa della diretta. Con il necessario decentramento sul territorio a fini e solo a fini di gestione. Questo regionalismo partitocratico non è quello di Cattaneo e nemmeno quello di Miglio . Un ibrido alimentato dal denaro pubblico e dalla pessima deforma del titolo V del 2001. Il risultato del voto in Lombardia e nel Lazio certifica ora:

1. La lontananza/ostilità o distacco dei cittadini dalla Istituzione Regione e comunque dai partiti in lizza. Con il venir meno della rappresentatività degli organismi regionali elettivi ;

2. Un voto, di chi ha votato, poco più del 40%, in favore del presidente uscente Fontana, per lo più e in gran parte beneficiario di voti indirizzati a Fratelli d’Italia. E non alla Lega in chiaro affanno. Un voto “ideologico” che non tiene conto della infelice, pessima , esperienza di governo della Regione nella precedente legislatura; 

3 . La totale carenza di alternative appetibili diverse dalla conferma di Fontana . E alla vittoria del candidato di centro destra nel Lazio. Con 5 stelle, sempre quelli che hanno votato, evaporati e divisi nelle 2 regioni,  scomparsi praticamente in Lombardia. Non saprei come in questo quadro, sommario, sia possibile recuperare il senso della partecipazione a tutte le latitudini. E la nozione di rappresentatività degli organi elettivi. Penso anche che nessuno o quasi pensi a  questo o sia in grado di fare qualcosa per invertire la
rotta di una china ademocratica. Alfa privativo! 

2 commenti su “un no al regionalismo all’italiana con uno sfondo (a)democratico”

  1. Le regioni sono anacronistiche e dannose. La prova? Se sparissero non se ne accorgerebbe nessuno. Una casta di privilegiati privi di responsabilità che non rispondono a nessuno. La politica nazionale tace sul tema, perché le Regioni sono un sistema di distribuzione di risorse pubbliche indispensabile per nutrire le nomenclature locali dei partiti. Le Regioni spendono in media oltre 200 miliardi di euro all’anno, di cui 110 per la sanità, amministrata con nomine politiche, un assurdità. Spese discutibili quando non dannose (pensiamo solo alle società di informatica regionali, monumento all’inefficienza), basterebbe partire da lì per invertire la tendenza del debito pubblico nazionale.

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