La Meloni e il referendum: il diritto al “non senso” della democrazia

di angelo perrone

Il gran rifiuto. Versione moderna del “me ne frego”, slogan che nel ventennio incarnava la sfida al pericolo e il disprezzo per le regole. Immaginifiche sono le strade nuove inventate dalla politica. L’affermazione della presidente Meloni (il “non voto” al referendum su lavoro e cittadinanza come un suo diritto) è una posizione inquietante in tempi di crisi democratica, e rasenta l’abnormità, proprio per il ruolo preminente di chi l’ha espressa.
La partecipazione civica è fondamentale per la tenuta delle istituzioni. Suggerire l’astensione è un segnale pericoloso, oltre tutto mascherato dall’espediente del gesto simbolico. L’astensione non dovrebbe assumere il tono dell’indifferenza, soprattutto quando la democrazia stessa è sotto pressione.
Questa posizione, infelicemente annunciata proprio il 2 giugno, in cui si ricordava il più importante evento referendario della storia repubblicana italiana, diventa ancora più grave se letta alla luce della retorica dell’esaltazione del voto quale unica legittimazione politica.
Si invoca la “sovranità popolare” per giustificare decisioni che erodono diritti, limitano libertà e minano le basi della convivenza civile, come nel caso del cd decreto sicurezza, salvo poi svuotare di significato il referendum, strumento per eccellenza della democrazia diretta, attraverso il disimpegno. È una logica perversa: il voto è sacro solo quando conviene al potere costituito, un mero timbro per convalidare scelte calate dall’alto, ma diventa superfluo o persino sacrificabile quando si tratta di volontà popolare espressa su temi scomodi.
La crisi della democrazia non si combatte con l’astensione strategica, bensì con la partecipazione consapevole e critica. Minimizzare l’importanza del voto referendario, pur parlando di “rispetto”, è un ossimoro politico che mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
È un’operazione che contribuisce al clima di disillusione e disaffezione, lasciando campo libero a chi interpreta il consenso elettorale come licenza a procedere senza limiti. La libertà di scelta del singolo non può mai diventare pretesto per indebolire gli strumenti di partecipazione collettiva, soprattutto quando questi sono l’ultima diga contro l’arroganza del potere.
 

4 commenti su “La Meloni e il referendum: il diritto al “non senso” della democrazia”

  1. Scusi, Perrone: non ritirare le schede del prossimo referendum che esige, per avere successo, il 50% più uno dei votanti, è un modo di sconfiggere le tesi referendarie da parte di chi non le condivide.
    Andare al seggio e non ritirare le schede è legittimo, è civile. Lo spiegarono, a suo tempo, anche illustri esponenti politici, da Napolitano a Cofferati. Contrariamente a quello che lei scrive , è un modo per esprimere liberamente e – ripeto – civilmente un’ opinioe contraria a quella di Landini, Conte, Schleinn. ” Versione moderna del me ne frego…inquietante…abnorme….ma ci faccia il piacere, egregio Perrone !

  2. andando al seggio, poi vedremo come, Meloni non esercita nessun diritto. Si fa beffe di elettori e scrutatori. Fa una sceneggiata per photo opportunities e opportunistiche.

    1. Con il voto si esprime un potere e il voto altro non è che delegare il proprio potere, nei limiti costituzionali e di legge, a chi si assume il compito di rappresentarci; con il referendum non ci sono mediazioni. Mi chiedo, se la legge non ammette l’ignoranza, se sono ignorante posso render nullo il mio voto o esprimere le mie preferenze ma non posso recarmi al seggio se poi, all’ultimo, rifiuto le schede. Beata l’ignoranza, non sanno che potrei votare recandomi nel mio proprio seggio ma sentenziano su ciò che non sanno ovvero che posso o non voglio recarmi al seggio.

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