di enzo marzo
Qualche giorno fa al “Corriere della sera” si sono riuniti in convegno, Direttore in testa, per commemorare i sessanta anni dalla morte di Luigi Einaudi, uno dei più illustri editorialisti della “testata”. Con una bella faccia tosta: peccato che il “Corriere” di oggi screditi il “Corriere” di Albertini e non sia degno dell’Einaudi dell’Heri dicebamus. Quotidianamente. Con violazione continue del codice deontologico e delle norme garantiste dello stesso contratto nazionale di lavoro. Le pubblicità redazionali dilagano su tutte le pagine, prendendo per i fondelli i lettori. Per non citare il suo Editore che non si vergogna di dichiarare pubblicamente in un video di aiutare il Direttore a “chiudere” la fattura del giornale, la sera. Alla faccia dell’indipendenza. Certamente non posso essere accusato di essere laudator temporis acti ma l’attuale degrado è così grave che il “Corriere” dei tempi di Albertini, quando (in un’Italia di 35 milioni di abitanti rispetto ai 60 milioni di oggi) vendeva dieci volte di più e accumulava un’autorevolezza mai più raggiunta, non può apparirci che come un Eldorado di correttezza e di professionalità.
Noi commemoriamo a modo nostro Luigi Einaudi, ricordando due episodi che lo videro protagonista e che dovrebbero essere di ammaestramento per tutti.
Alla fine della seconda guerra mondiale Einaudi si pose il problema di tornare a scrivere sul “Corriere della sera”, organizzò il suo rientro scrivendo un editoriale che rimase famoso. Era intitolato Heri dicebamus. L’autore si metteva alle spalle tutto il fascismo e riprendeva la libera parola che gli era stata sottratta.
Quasi nessuno sa cosa ci sia dietro a quell’Heri dicebamus. Einaudi scrive al direttore Emmanuel una lettera perentoria sostenendo d’essere disponibile a scrivere sul “Corriere della sera”, ma se si desidera l’”esclusiva” della sua firma, egli la concederà soltanto se Emmanuel prima gli avrà mostrato una lettera degli Editori in cui si concede al Direttore piena indipendenza nella gestione del quotidiano.
Ovviamente Emmanuel una lettera di quel tenore non la può produrre, e così, quando il “Corriere della sera” pubblica Heri dicebamus, Einaudi scrive, esattamente nello stesso giorno, sul “Giornale d’Italia”, un altro editoriale per dimostrare a tutti ch’egli non dà l’”esclusiva” al suo giornale di sempre, passato dalla “nessuna libertà” dei tempi del fascismo alla “libertà limitata” del post-fascismo. E non l’avrebbe mai più data.
Molto si adoperò il futuro Presidente della Repubblica per la libertà di stampa. Però i suoi progetti per una riforma dell’editoria non furono presi nemmeno in considerazione e l’intreccio perverso tra economia, politica e informazione ha potuto prosperare fino adesso con i risultati miserandi che sono davanti agli occhi di tutti.
Per dimostrare come siano cambiati i tempi e quanto fosse rigoroso il liberalismo “praticato” di Einaudi riporto un’altra sua lettera al Direttore Emmanuel in cui l’editorialista principe del quotidiano fa un semplice ragionamento: se tu vendi ora 600/700.000 copie e vuoi arrivare a un milione, semplicemente devi pubblicare due inchieste al giorno, devi essere coraggioso, perché la tua unica forza è il lettore. Solo così diventi Direttore effettivo. Qui riporto le parole testuali della lettera: «I granisti – [qui si riferisce alla famiglia Crespi, proprietaria del giornale], se tu raggiungi un milione di copie, diventerebbero tremebondi e si prosternerebbero innanzi ai vostri piedi ringraziando ogni volta che vi degnaste di usar loro la finezza di prenderli a calci». Adesso, più modestamente, ci accontenteremmo di un Direttore meno servile che accompagnasse gentilmente alla porta un Proprietario che si intromette in ruoli che non gli competono.
Questo era l’Einaudi “moderato” che tre anni dopo andrà al Quirinale. Adesso in quest’Italia spudorata si concepisce addirittura la pretesa delinquenziale di mandare al Colle, dopo il liberale Einaudi, il “liberale” Berlusconi.
Bello e tosto. Tuttavia, quanto alle copie, sappiamo che i giornali sono minati dalle trasformazioni tecnologiche e quindi dalla diversa produzione e fruizione delle notizie e dei commenti. Anche quando si propongono on line, subiscono comunque la concorrenza del ‘gratuito’ che si nutre dei nostri dati, di publicita’ palese e spesso mirata