di carlo troilo
Eutanasia, mio fratello si è ucciso per esigenza di dignità. Perciò dico: serve legiferare sul fine vita
Nell’aprile del 2004 mio fratello Michele – 72 anni, scapolo, malato terminale di leucemia – decise di farla finita gettandosi dal quarto piano della sua casa a Roma.
Michele sopportava con coraggio le fasi estreme della malattia, anche perché assistito quotidianamente da medici volontari dell’ospedale che lo aveva avuto in cura. Purtroppo una sera – dopo che l’avevo salutato per tornare a casa – Michele ebbe per la prima volta una crisi di incontinenza. La signora che lo assisteva per la notte lo spogliò, lo portò in bagno per lavarlo e lo rimise a letto con un pigiama pulito, non ritenendo necessario avvertirmi di quanto avvenuto.
Michele si addormentò – o finse di dormire – e all’alba aprì le finestre del terrazzo e si gettò dal quarto piano, schiantandosi sul tetto del garage. Dunque, si uccise non per sfuggire a sofferenze fisiche, ma per una esigenza di dignità.
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