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I pilastri della società

di Marco Cianca

Vili, indifferenti, furbi, prudenti, cinici, scettici, rabbiosi, prepotenti, egoisti, cattivi, invidiosi, brutali, spietati, ignavi. Sono tante le sfumature dell’umana negatività. E vengono tutte in mente, spinte dall’orrore per la morte di Satnam Singh, buttato davanti casa dal padrone. Come un sacco dell’immondizia, lì, dissanguato, con accanto il braccio. Un fantoccio rotto, uno schiavo senza tempo. Succedeva migliaia di anni fa, succede oggi.

Perché meravigliarsi o indignarsi? Ipocrisia allo stato puro. Quando compriamo i pomodori al supermercato, magari cercando i prodotti in offerta, è ben chiaro che più il prezzo risulta basso, maggiore è il peso dello sfruttamento. Non fa una grinza. Risparmio per il consumatore, profitti comunque assicurati ai produttori, morte nei campi. In genere, prevale la dissociazione cognitiva, una sorta di rifiuto del problema. Come pagare in nero l’idraulico o il meccanico per non sobbarcarsi l’Iva, oppure acquistare ad un mercatino merce dalla dubbia provenienza.

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QUALE FESTA DEL LAVORO

di angelo perrone *

Tutto è cambiato, anche nelle manifestazioni che accompagnano la Festa del lavoro il 1 maggio. Non devono mancare però né la consapevolezza dei problemi che il Covid-19 ha reso più drammatici, né momenti di allegria e spensieratezza. Per dirci che, soprattutto nelle difficoltà, abbiamo bisogno di fiducia e tenacia.

La tela dipinta da Giuseppe Pellizza da Volpedo nel 1901 è l’immagine più iconica da associare alla Festa del lavoro, che si celebra il 1 maggio. Chi sono i soggetti ritratti ed elevati a simbolo della lotte operaie e contadine? «Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a reclamare ciò che è di diritto. Sereni e calmi, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta», scrisse lo stesso autore. Un’immagine della sofferenza composta, dell’affermazione pacata ma vigorosa dei propri diritti, il desiderio del riscatto dopo una vita di sacrifici e talora di stenti. Una manifestazione di protesta, che si basa sulla compattezza, sulla comunione di intenti, sulla vicinanza delle sorti.

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BUON PRIMO MAGGIO GOBETTIANO

di pietro polito

Silenzio, precisione, presenza continua; una psicologia nuova si tempra a questo ritmo di vita: il senso di tolleranza e di interdipendenza ne costituisce il fondo severo; mentre la sofferenza contenuta alimenta con l’esasperazione le virtù della lotta e l’istinto della difesa politica. Quando Mussolini venne a cercare il loro applauso, questi operai dovettero guardarlo con il muto disprezzo che leggo adesso nei loro occhi. Essi sanno far rispettare le distanze.

Piero Gobetti,

Visita alla Fiat, “Il Lavoro”, Genova, 15 dicembre 1923.

 

          Le vicende di questa terribile pandemia hanno portato a un effetto inaspettato e inimmaginabile fino a qualche mese fa: rendere di nuovo visibile ciò che era diventato invisibile, anzi, dicendolo meglio senza contare la mezza messa, veniva nascosto, contrastato, deriso, vilipeso, ritenuto sorpassato, superfluo, inutile: il lavoro operaio e più in generale il cosiddetto (in maniera impropria) lavoro dipendente. Chi firma un contratto di lavoro, a tempo determinato o indeterminato, o con una azienda privata o con lo stato o con un ente di terzo settore non sottoscrive certo la rinuncia alla propria autonomia personale.

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VISITA ALLA FIAT

di piero gobetti, 1923

Mussolini e il re del Belgio han messo di moda tra i torinesi le visite alla Fiat. Ci siamo stati tanti anni vicini e il pensarvi ci dava orgoglio e sicurezza; la vita nostra cittadina se ne ispirava così direttamente che era inutile toccar con mano e ci bastava il concetto dell’industria moderna e della nuova psicologia urbana, che nella mente si accompagnava alla figura di Agnelli.

La Fiat è alla periferia estrema di Torino: ci si va con un tram che attraversa tutta la città, senza passar nel centro, sempre per vie fuori mano, che per trovarle bisogna andarci apposta.

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ALIAS BETULLA

Renato Farina, editorialista di “Libero”, attacca la sardina Mattia Santori all’insegna del LAVORARE MAI. Farina non si rende ancora conto che purtroppo per i giovani è cambiata un’epoca e che il lavoro non c’è più. Non sono più i tempi in cui col suo alias “Betulla” addirittura poteva svolgere contemporaneamente ben due lavori, uno di giornalista e un altro di spione…

la lepre marzolina – mercoledì 22 gennaio 2020