LA VENETIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

di maurizio fumo

Il Fratello d’Italia, Nordio dott. Carlo (da poco parlamentare e quindi ministro), si è reso conto – ma guarda un po’ – che nel settore giustizia c’è una netta prevalenza di meridionali. In tutte le categorie professionali, dai magistrati ai commessi (più tra i primi che tra i secondi, per la verità). Si è anche reso conto che ciò determina un pesante turn over in danno degli uffici giudiziari del nord Italia, in quanto i “terroni”, dopo qualche anno, tendono (e quasi sempre ci riescono) a tornare dalle loro parti. Situazione che certamente non si è determinata negli ultimi tempi, ma che dura … da sempre.

Soluzione: forse incentivi? economici, di carriera, in termini di ricongiunzione familiare, ecc. Macché. Regionalizzazione dei concorsi!  Questa è la chiave di volta (IL GAZZETTINO 8/11/2022) “Nordio: legge speciale per reclutare in regione personale per i tribunali”. La notizia ha fatto eccitare non pochi valligiani e simpatizzanti del carroccio, che hanno immaginato di poter avere, finalmente, “giudici loro” (REPUBBLICA on line 7/11/2022) “Magistrati regionali? Leghisti in visibilio, ma Nordio parlava solo del personale amministrativo”.

Però chissà, magari è un primo passo. Poi vedremo.

D’altronde il taglio provinciale di fratel Nordio è abbastanza marcato. Ha nominato suo capo di gabinetto il dott. Alberto Rizzo, già presidente del Tribunale di Vicenza, e  ha scelto come capo dell’ufficio legislativo il dott. Antonello Mura, ottimo magistrato che ha egregiamente militato nella Procura generale della Cassazione, ma che, temiamo, sia stato selezionato perché, da ultimo, è stato Procuratore generale di Venezia. Come “prima uscita”, poi, il Nostro è andato prima a Treviso, poi a Venezia. Certamente non si tratta degli uffici giudiziari più rilevanti (e più problematici) d’Italia. Ma tant’è: ancora uno step e poi vedremo sventolare il leone di san Marco a via Arenula.

D’altronde, questo approccio strapaesano alle stanze del potere non è nuovo: quando Clemente Mastella andò ad occupare la poltrona di ministro della Giustizia, il Ministero si riempì di magistrati di origine campana.

E tuttavia i concorsi ispirati all’autonomia differenziata ancora non li avevamo visti.

Ma è possibile questa soluzione? Nel senso: è legittima? Lo stesso ministro si rende conto che forse (sic!) c’è qualche ostacolo di natura costituzionale, ma confida che si possa superare (ancora sic!).

Vediamo un po’: non solo l’art. 97, comma 4 della Costituzione stabilisce che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”, ma l’art. 51 afferma che “Tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso, possono accedere agli uffici pubblici …. in condizioni di eguaglianza”, l’art. 98 ammonisce che “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. E poi (sarà il caso di ricordarlo al ministro?) c’è il principio di eguaglianza dell’art. 3, che non si risolve in una astratta enunciazione, ma che prevede (al comma 2) che l’eguaglianza debba essere garantita, con interventi positivi, anche – evidentemente – rimuovendo gli ostacoli e gli handicap che, ad esempio, non assicurino la par condicio tra gli aspiranti a un impiego pubblico. E allora perché, si fa per dire, un laureato di Bagnara Calabra che sia più preparato di uno di Spinea (può succedere, credetemi) si deve vedere interdetto l’accesso a un concorso per cancelliere a seguito delle istituende “quote verdi”?

Nulla e nessuno impedisce ai ragazzi nati, cresciuti e viventi a nord del quarantaquattresimo parallelo di prepararsi, partecipare ai concorsi e superarli. È vero: le statistiche non sono a loro favore. La stragrande maggioranza dei concorrenti è meridionale (si può rimediare facilmente, basta che i nordici partecipino anche loro) e quelli che si piazzano nei primi posti provengono, il più delle volte, da università del centro-sud (in questo caso, ci vuole un po’ più di impegno: bisogna studiare). Se questo è lo stato dell’arte, impedire ai maledetti terroni di partecipare ai concorsi per gli uffici del nord, significherebbe riservare posti di lavoro a candidati che devono essere considerati migliori “a prescindere” (e qui Nordio mi scuserà perché ho citato un grande pensatore del sud).

Il principio è molto pericoloso e non premia affatto “il merito”, bandiera (quando conviene) del nuovo governo. A meno che – si intende – il merito non consista nell’essere nati al di sopra della linea gotica. In questo caso, cancellieri veneti in Veneto, lombardi in Lombardia e così via, aprendo la strada alla regionalizzazione della giustizia, in attesa di avere anche magistrati a chilometro zero. E il fatto che gli uffici giudiziari più disastrati siano a sud (basta guardare “i carichi”) può anche essere ignorato.

Eppure quello dei “Fratelli d’Italia” dovrebbe essere un partito che ha a cuore l’interesse della Nazione (appunto) nella sua interezza, capace quindi di uno sguardo unitario in relazione alle esigenze comuni, un partito che dovrebbe immediatamente pronunciare un deciso altolà di fronte a queste proposte oggettivamente centrifughe (oltre che inique e, probabilmente, incostituzionali). Ma forse tanta indulgenza verso la deriva localistica di fratel Nordio (il benevolo silenzio nei confronti delle sue esternazioni paraleghiste) costituisce la contropartita alla disponibilità mostrata da chi si presume sia un giurista in relazione al “problema” dei migranti e all’urgenza di abolire/modificare la legge Severino (190/2012, decreti legislativi 235/2012, 33/2013 e 39/2013 ).

Apprendiamo infatti (LIBERO del 7/11/2022) che “Nordio fa asse con Piantedosi” e poi che il nuovo ministro ritiene (l’ha detto e ripetuto più volte) incostituzionale la legge sulla ineleggibilità e decadenza dei parlamentari condannati perché renderebbe retroattiva una sanzione penale. Insomma: la Costituzione si usa o si ignora, a seconda delle convenienze.

Ebbene, quanto alla prima questione, l’ex magistrato sembra aver dimenticato che la Cassazione (sentenza 15869 del 2021) ha chiarito che il diritto al non-respingimento in un “luogo non sicuro” costituisce principio internazionale consuetudinario di carattere assoluto, cui deve riconoscersi valenza di ius cogens in quanto proiezione del divieto di tortura, e come tale, invocabile, secondo l’interpretazione data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non dai soli “rifugiati”, ma da qualsiasi essere umano che rischi di essere respinto verso uno stato in cui sussista una ragionevole possibilità di subire un pregiudizio alla vita, alla libertà, all’integrità psicofisica (lo dice l’art. 33 della Convenzione di Ginevra, ma, molto più modestamente, è scritto anche nel “nostro” decreto legge 130/2020, convertito in legge 173/2020).

Quanto al secondo problema, l’interpretazione abrogante fornita da Nordio avrebbe senso se fossimo al cospetto di pene accessorie; ma in realtà si tratta di sanzioni amministrative. Questa è stata l’opinione tanto della Corte costituzionale (sentenza 276 del 2016), quanto della Corte europea dei diritti dell’uomo (Galan contro Italia, 17/6/2021), che hanno chiarito che decadenza e ineleggibilità non sono effetti penali della condanna, ma pure e semplici conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo necessario per l’accesso alle cariche pubbliche. Il loro scopo non è punire i colpevoli, ma introdurre condizioni più severe per l’accesso a determinate cariche istituzionali. 

Ma allora dovremmo chiederci perché un ex magistrato (e dunque, si diceva, presumibile giurista) si presti ad avallare simili tendenziose scempiaggini.

Difficile dare una risposta; si possono solo azzardare ipotesi: una ha come fondamento l’inguaribile provincialismo di gran parte della classe politica (vecchia e nuova, a quanto pare). Il rimedio ai guai che affliggono i territori (e le lagune) circostanti il proprio campanile viene prima, così sembrerebbe, della visione complessiva (e quindi complessa) dei problemi. È l’incapacità (o la non volontà) di passare dai fatti ai fenomeni. Insomma: Venezia val bene una figuraccia!

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