di angelo perrone
Siamo nel paradosso. La giustizia italiana, pur navigando in un sistema dato per spacciato, ha già superato in anticipo gli obiettivi del PNRR sull’arretrato: ridotto del 95% nel civile e del 25% nel penale. Questo risultato non è frutto di un magico deus ex machina, a dispetto della retorica che accusa gli scansafatiche.
Eppure, a guardar bene, la performance è un fuoco di paglia. L’ingranaggio non è lubrificato, è logorato dalla carenza cronica di tutto.
Immaginate un ospedale che opera con 1.800 medici in meno, 17% della sua forza vitale, e con il 40% degli infermieri tagliato via. Questo è il tribunale italiano: mancano 1.800 magistrati e il personale amministrativo è ai minimi storici. Le iscrizioni civili sono aumentate del 12% dal 2019 al 2024. Il sistema non è in stallo; è in apnea, sommerso da fascicoli che affondano i processi nell’oblio di rinvii infiniti.
Cosa servirebbe, in un quadro così drammatico? Nuove assunzioni di massa, razionalizzazione degli uffici per eliminare le inutili sovrapposizioni e l’introduzione di strumenti deflattivi che sfoltiscano la montagna di cause.
Ma mentre la giustizia affoga, il Governo sembra più interessato a organizzare gare di velocità inutili. Il DL 117/2025 presentato come la “svolta”, non colma le lacune. Non assume, non razionalizza. Introduce invece meccanismi premiali basati su sterili obiettivi statistici e conferisce poteri straordinari ai dirigenti, come se il problema fosse la cattiva volontà.
Il messaggio è chiaro: non si investe un euro sui bisogni reali (personale, strumenti); si investe sul controllo e sulla misurazione dell’ovvio.
Il PNRR, che doveva essere il salvagente per un sistema efficiente, rischia di trasformarsi in un fischietto: una sonora, ma inutile, emergenza. L’assenza di riforme strutturali e il ricorso a misure estemporanee e statistiche promettono di peggiorare la situazione per chi lavora e per chi attende un verdetto.
Mentre le aule di giustizia sono al collasso, il Governo volge lo sguardo altrove, puntando su una riforma della magistratura di respiro costituzionale (separazione delle carriere, sorteggio, doppio CSM) che è magistralmente indifferente al funzionamento concreto del servizio.
È la grande distrazione. Non si migliora il servizio per gli operatori, né si dà una risposta concreta al cittadino che attende per anni. Si interviene sulla Costituzione per inseguire obiettivi che hanno ben poco a che fare con il buon governo e l’efficienza quotidiana della macchina giudiziaria.
La credibilità del sistema già logoro è a rischio. La giustizia italiana non ha bisogno di decreti che inseguono le statistiche, né di riforme che perseguono agende politiche, ma di risorse concrete e riforme serie. I cittadini meritano risposte ai problemi, non l’illusione di un Governo che misura l’acqua, mentre la barca affonda.