CINCINNATO

di valerio pocar

Un certo scandalo ha suscitato il fatto che il nostro Presidente del consiglio abbia definito Erdogan «un dittatore». Definizione franca e riteniamo più che giustificata, subito corretta da un cauteloso ammonimento da Realpolitiker, che purtroppo coi dittatori bisogna fare i conti e trattare. Da destra e anche da sinistra la definizione è stata criticata, perché sarebbe stata preferibile quella di «capo politico autoritario». La reazione turca è stata al solito dura e appunto «autoritaria», con minaccia di ritorsioni, ma anche goffa, rammentando al nostro P.d.C. di non essere stato eletto, come dire che per il fatto di essere stati eletti  Hitler e Mussolini non meritassero la patente di dittatori, evviva il populismo!

Dibattito vano, però, se si conosce la lingua italiana. Come precisa il Grande Dizionario del Battaglia, con «dittatore» non s’intende solo colui che esercitava la dittatura nella Roma repubblicana, ma, per estensione, un «capo politico autoritario; chi detiene un potere politico assoluto, per lo più conquistato illegalmente ed esercitato in modo autoritario» ovvero «il capo politico di uno Stato retto in forma di dittatura; despota; tiranno». Ovviamente, la diplomazia turca non è tenuta a conoscere le sfumature della lingua italiana, ma forse i politici italiani sì.

Piuttosto, dittatore nel senso originario, potrebbe definirsi proprio lo stesso P.d.C., ovviamente non perché ricopra «la carica della dittatura nella Roma repubblicana», ma perché è l’esempio di chi «in circostanze eccezionali, assume tutti i poteri dello Stato per realizzare uno scopo politico di grave importanza, non specifico e limitato nel tempo», beninteso col permesso dei politici di lotta e di governo. Realizzato lo «scopo politico di grave importanza» tornerà il P.d.C., novello Cincinnato, alle cure della campagna, magari risanata in capo alla transizione ecologica?

 

25 aprile: una risposta a giuseppe de rita

di maria paola patuelli

 Giuseppe De Rita sostiene che il 25 aprile è una festa che non ha più senso. Cosa avrà voluto dire? E’ necessario chiedercelo. Non ho dubbi che De Rita sia antifascista.

Quindi? E’ la constatazione di un sociologo che legge la realtà e la interpreta? Ma da un sociologo della sua fama ci si aspettano descrizione e analisi.

Non flash che assomigliano a battute amare. Per non dire irritate.

Il 25 aprile non ha più senso. Per chi?

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25 APRILE: FASCISMO E ANTIFASCISMO

di norberto bobbio ( Centro studi Piero Gobetti) 

 

Da qualche tempo si va diffondendo una tesi revisionistica, che era già affiorata subito dopo la liberazione ma allora non aveva fatto tanta strada, secondo cui è ora di finirla con la contrapposizione troppo netta tra fascismo e antifascismo e bisogna finalmente “andare al di là di fascismo e antifascismo”. Andare al di là di fascismo e antifascismo ha, intenzionalmente o no un’unica conseguenza, che è quella di mettere fascismo e antifascismo sullo stesso piano.
 
Sia chiaro: non abbiamo alcuna indulgenza di fronte alla crisi attuale delle nostre istituzioni democratiche e per il modo con cui ci si è arrivati. Ma l’antitesi radicale tra dittatura e democrazia rimane. Guai a dimenticarlo, soprattutto di fronte ai giovani che non sanno e non sempre vengono aiutati a saperlo. Guai a dimenticare che il fascismo alleato con il nazismo aveva disonorato il nostro paese agli occhi delle nazioni più civili e che è toccato ai partigiani uniti nella Resistenza, agli antifascisti alleati in uno sforzo comune nel Comitato di liberazione, restituirgli l’onore e la libertà.
 
La scelta tra dittatura e democrazia, tra civiltà e barbarie, tra gli ideali di libertà, di giustizia e di pace contro i cupi comandamenti del “credere, obbedire, combattere”, non ci sembra oggi meno necessaria, meno giusta. Tanto necessaria e tanto giusta che non mi risulta ci siano stati fra noi dei dissociati o peggio dei pentiti. Ogni qual volta ci riuniamo per ricordare il nostro passato, nessuno mai ci avrà sentito dire: “abbiamo sbagliato”. Sbagliano, invece, pericolosamente, minacciosamente, e dobbiamo bene stare in guardia, coloro che vorrebbero mettere una bella pietra sul passato e rompere la continuità tra le battaglie di ieri che furono battaglie per la libertà, e la giustizia e la pace, e le battaglie di oggi che sono di nuovo battaglie per la libertà, la giustizia e la pace.
 
La Resistenza ha segnato la grande frattura tra l’Italia di ieri e l’Italia di oggi. È stata la fonte di legittimità della nuova Italia la cui espressione istituzionale è stata la costituzione democratica e repubblicana, quest’Italia di oggi che deve essere, e sarà, se resterà fedele a quegli ideali, anche l’Italia di domani. Dobbiamo ripeterlo ancora una volta?

25 aprile: perché ricordarlo nella stagione della pandemia

di angelo perrone

La resistenza è un insieme di storie individuali coraggiose e solidali, capaci di trasformarsi in uno dei momenti fondativi dello Stato nazionale. Un messaggio di attualità, mentre cerchiamo di uscire dalla pandemia

Sono trascorsi 76 anni da quando, il 25 aprile 1945, il Comitato di liberazione Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro il regime nazi-fascista nei territori ancora occupati. Quella data già l’anno successivo divenne festa nazionale. Era diffusa l’urgenza di riconoscersi simbolicamente in una data cosi decisiva per le sorti del paese.

Lo scopo era ricordare il coraggio di tanti che misero a repentaglio la vita per opporsi alla dittatura, o la sacrificarono, decisi a tutto pur di riscattare la libertà perduta. Nello stesso tempo si voleva dare un segnale politico: celebrare il momento fondativo della nuova Italia, individuato appunto nella lotta di liberazione.

La decisione ha avuto, fin dall’inizio, un doppio significato: rendere omaggio alle storie individuali, al sacrificio personale, agli straordinari esempi di coraggio avvenuti allora, ma anche commemorarne il ruolo rispetto alla nuova epoca che si voleva far nascere, la stagione del referendum istituzionale sulla forma repubblicana dello Stato e ancor più della stesura della Costituzione.

Nella resistenza si verificò uno straordinario incrocio di destini perché la lotta raccolse sullo stesso fronte persone con interessi differenti, e che avevano opinioni politiche contrapposte (liberali e comunisti, cattolici e socialisti).

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per un referendum sulla eutanasia legale

LA FONDAZIONE CRITICA LIBERALE HA DERITO AL COMITATO PROMOTORE PER L’EUTANASIA LEGALE

FINE VITA, DEPOSITATO IL REFERENDUM PER L’EUTANASIA LEGALE IN CORTE DI CASSAZIONE

Presenti i leader Ass.Luca Coscioni, insieme ai rappresentanti del Comitato Promotore e ai famigliari di militanti vittime delle proibizioni. La raccolta delle 500.000 firme per convocare il referendum dal 1 luglio fino al 30 settembre. 

Il Referendum per l’Eutanasia Legale è stato ufficialmente depositato questa mattina in Corte di Cassazione, alla presenza dei leader dell’Associazione Luca Coscioni, tra cui Marco Cappato, Filomena Gallo, Mina Welby, Marco Perduca e Rocco Berardo, insieme a rappresentanti del Comitato Promotore e ai famigliari di chi ha vissuto da vicino il dramma delle proibizioni sulle scelte di fine vita, come Valeria Imbrogno, compagna di Fabiano Antoniani, i genitori e la sorella di Luca Coscioni – Anna, Rodolfo e Monica.

Si tratta di un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 c.p., sul cosiddetto omicidio del consenziente, l’unica fattispecie che nel nostro ordinamento assume un ruolo centrale nell’ambito delle scelte di fine vita, dal momento che non esiste una disciplina penale che proibisca in maniera espressa l’eutanasia. In assenza della menzione stessa del termine “eutanasia” nelle leggi italiane, la realizzazione di ciò che comunemente si intende per eutanasia attiva (sul modello olandese o belga) è impedito  dal nostro ordinamento.

L’eutanasia attiva è, infatti, vietata sia nella versione diretta, in cui è il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta (art. 579 c.p. omicidio del consenziente), sia nella versione indiretta, in cui il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona (art. 580 c.p. istigazione e aiuto al suicidio), fatte salve le scriminanti introdotte dalla Consulta con la Sentenza Cappato.

Con il referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), dunque si andrebbe da un lato a distinguere l’aiuto al suicidio, e dall’altro a depenalizzare l’eutanasia, attualmente vietata dalla fattispecie di omicidio del consenziente.

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USCITO IL N. 84 DI “NONMOLLARE” – SCARICABILE GRATIS QUI

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disponibile anche sul sito del fatto quotidiano.it

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/22/riaprire-adesso-puo-significare-riaprire-al-virus/6171918/

Sommario
cronache da palazzo
3. riccardo mastrorillo, si riapre al virus
5. quando dilagava la spagnuola
comunicato
7. comitato “via le mani dall’inoptato”
la biscondola
8. paolo bagnoli, il tarlo del populismo
astrolabio
10. angelo perrone, un’idea di futuro
la vita buona
12. valerio pocar, vivi e lascia vivere
la cerimonia degli addii
14. ernesto paolozzi, giovanni malagodi: lo stile dell’uomo
lo spaccio delle idee
16. piero calamandrei, discorso agli studenti milanesi
18. andrea costa, ernesto nathan 100 anni dalla scomparsa 1921-2021
4. bêtise d’oro
6-17. bêtise
23. comitato di direzione
23. hanno collaborato

PROFESSIONALITA’ CAIRO (CONTINUA)

Una vera maestra di giornalismo Lilli Gruber se, per l’esordio in Tv di Davide Casaleggio – alla vigilia del seminario di Casaleggio a Ivrea – invita a co-intervistarlo il sociologo De Masi (collaboratore di Casaleggio) e il giornalista Nuzzi (marito di Valentina Fontana, amministratore unico dell’agenzia Visberbi, organizzatrice dell’evento di Ivrea)…

[GRAZIE A BEPPE LOPEZ]

PROFESSIONALITA’ GEDI 2 (CONTINUA)

Diciamoci la verità, se, un giornale, lo leggono sempre meno i lettori, possono leggerselo i redattori mal pagati? Un Gruppo così trend, così dominante, così “di regime”, com’è la Gedi, si è posto con decisione alla guida del degrado del giornalismo italiano. Non passa giorno che non si riscontrino errori marchiani che rispondono tutti a una stessa causa: nessuno si legge quello che viene propinato al lettore. Ma allora perché il lettore deve pagare per prodotti così trascurati da chi li produce? Così accade che il redattore dell'”Espresso” sbatte in pagina la rubrica di Bernardo Valli *, e non avendola neppure letta non si accorge che contiene un’indicazione destinata proprio a lui e non al lettore. Ovviamente i Caporedattori centrali non si possono leggere un pezzo su Colorni, ma chi è ‘sta Colorni?, il vice Direttore si sta facendo un bel sonno, il Direttore sta in tv e non può perdere tempo con il suo settimanale….

  • Bernardo Valli è un vero monumento del giornalismo italiano, un maestro che ha abbandonato dopo decenni Repubblica 3.0 perché conserva una grande dignità al contrario di tanti fatui opinionisti ZTL dallo stomaco foderato di pelo che “c’hanno famiglia”.

I LIBERALI SAUDITI

Dedicato ai maniaci di microscopia politica. C’era una volta il PLI, un partito piccolo piccolo, ma per alcuni decenni decente, centrista; con la testa rivolta all’indietro ma rigorosamente antifascista e anti-pci. Aveva molti difetti, ma sapeva cos’era la sinistra e la destra. Purtroppo divenne sempre più subalterno alla Dc e ai suoi costumi politici. Fu estraneo al nobile filone riformatore del liberalismo anglosassone però si tenne ben lontano, come fecero i cugini inglesi, dal thatcherismo. Per non parlare della sua ripugnanza per iI “liberalismo austriaco” di Haider. Come gli altri partiti laici, non fu all’altezza né del compito storico che gli spettava né soprattutto dell’idea che lo doveva ispirare. Precipitò inevitabilmente nel vortice di tangentopoli.

Non si riesce a capire perché non lo lascino riposare in pace. Invece no, piccoli frantumi opportunisti si sono impadroniti di quella bandiera dignitosa e la sventolano qua e là, come fanno le truppe mercenarie. Il loro cinismo li ha portati per anni nello schieramento berlusconiano affamati di briciole. Roba da far rabbrividire Croce ed Einaudi. Rotti gli argini, hanno abbandonato ogni pudore e si sono messi nelle liste salviniane, contigui con i razzisti e nazisti di Forza nuova e di Casa Pound. Da lontano osservavamo e in qualche modo ammiravamo la faccia tosta (diciamo così) così ostentata. Continuavano spudoratamente a dirsi liberali per dimostrare la loro ignoranza. Se li avesse incontrati, il moderato Malagodi li avrebbe fatti rotolare a calci per le scale di via Frattina. Le ultime notizie, però, ci fanno venire il sospetto che una qualità ce l’hanno: a furia di stare tra i reazionari tosti hanno acquistato la capacità di riconoscere al puzzo quelli che sono di destra e di estrema destra come loro. Si sono trasformati in una cartina di tornasole. In veri “certificatori” di cinismo destrorso pronto a qualunque politica, purché illiberale. Per questo non ci siamo affatto meravigliati per il salto acrobatico che hanno fatto con l’accordo politico con Italia Viva, con i renziani. Da Salvini a Renzi, con la speranza di fare da ponte tra i due. Il PLI dei “liberali” ex-salviniani ora si accorda ufficialmente con i democristiani sauditi e con l’apporto dei suoi 7 voti ci assicura un nuovo Rinascimento gigliato e la rigorosa difesa della stato di diritto alla bin Salman

PROFESSIONALITA’ GEDI

1. Oggi il Fondatore, prima pagina di Repubblica, scrive che il Cavour “fece il trasferimento da Torino a Firenze della nostra capitale”.  Peccato che Cavour sia morto nel 1861  e la capitale fu trasferita a Firenze nel 1865.  E già basterebbe. Ma uno si potrebbe chiedere, per salvare il Fondatore, se Cavour non avesse programmato il trasferimento a Firenze. Assolutamente no. Infatti, Cavour, prossimo alla fine dei suoi giorni, dichiarò che Roma dovesse essere la capitale italiana (1961). Firenze invece saltò fuori, tra altre ipotesi che escludevano Roma, in conseguenza di un accordo con i francesi (1864)  che difendevano il papa dai perfidi italici.  Ci furono anche dei moti di protesta a Torino, con 20 morti. Per loro era o Roma o Torino.
2. : “Repubblica” ha sbagliato completamente impaginazone, saltando pagina sinistra/pagina destra, nella seconda parte del quotidiano.

Franco Grillini: “La legge Zan ci difende dagli omofobi. Sarà una rivoluzione sentimentale” di Valentina Desalvo

Intervista al fondatore dell’Arcigay: “La sinistra deve farla passare a tutti i costi in un’alleanza contronatura. La destra italiana copia la Polonia. Ma vent’anni fa Salvini era d’accordo con me”
10 APRILE 2021

BOLOGNA. Franco Grillini, fondatore dell’Arcigay, simbolo di tante battaglie per i diritti Lgbt, che succederà con la Legge Zan?
«La sinistra deve farla passare a tutti i costi. È un tema strategico, quello della lotta contro la omotransfobia. Perché non è solo una questione di civiltà ma è una battaglia di modernità. Il Pd si trova al governo dentro un’alleanza contronatura: approvarla significa smarcarsi da una destra italiana profondamente anti-moderna».

Una destra che sta facendo un ostruzionismo fortissimo.
«La verità è che oggi, nel 2021, la destra italiana vuole fare dell’omofobia la sua bandiera. Non le serve elettoralmente ma culturalmente. La destra di Salvini e della Meloni si è riempita di idee reazionarie, prendendole a prestito qua e là. Dagli ultra clericali, dai tradizionalisti, dai fascisti. Ora il modello è la Polonia che ha persino zone “lgbt free”. Non hanno una cultura propria, perchè non sono in grado di elaborarla come la destra americana, e allora sposano la destra omofoba. Ma per Salvini è davvero il trionfo dell’ipocrisia».

Perchè ipocrita?
«La teoria di Salvini è “il si fa ma non si dice”. A casa fai quello vuoi, ma devi restare a casa tua, non puoi farlo in pubblico. La stessa ipocrisia di alcuni parlamentari: ci sono tanti omossesuali che non lo dicono. Dirlo è un atto politico. Loro vogliono l’invisibilità. Noi vogliamo la visibilità, che è la nostra religione civile. Certo Salvini è molto cambiato…»

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