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Quella lunga scia di sangue che ci ha rubato il ’68

di franco caramazza 

Il ’68 nacque liberale e libertario. Era la prosecuzione della lotta per il divorzio, i diritti civili, il rifiuto dell’autoritarismo. Era gioia, liberazione sessuale, voglia di valori laici e di modernità. Era figlio del miracolo economico e dei primi viaggi in 500 in giro per l’Europa.

Quando occupavamo le aule universitarie – a partire da Palazzo Campana a Torino – lo facevamo perché volevamo abbattere la gerarchia nel sapere e il potere accademico, quello figlio del familismo e della consorteria delle parentele. Avevamo intuito che quel grumo, che avevamo imparato a conoscere nelle Università ma che pervadeva ampi strati della società “borghese”, impediva il libero dispiegarsi delle energie di una società che non poteva affidare la sua modernizzazione solo alla diffusione degli elettrodomestici e degli altri beni di consumo.

Sognavamo una rivoluzione liberale.

Ma poco dopo presero il sopravvento i temi operaistici, agitati dalla cultura catto-comunista. Le Università furono abbandonate e la paligenesi fu cercata fuori dai cancelli delle fabbriche e nel conflitto di classe.

Infine, su tutte le nostre speranze e le nostre idealità si abbatté – di lì a poco – il terrorismo rosso e la P38.

La complice connivenza di fiancheggiatori, simpatizzanti, cattivi maestri e di quanti a sinistra – almeno fino all’omicidio del sindacalista Rossa – mantennero un atteggiamento ambiguo generarono un’area grigia nel dibattito politico in cui non si è distinto con la necessaria e indispensabile nettezza tra lotta politica e violenza, tra quanti amavano il confronto dialettico e quanti imbracciavano la P38.

Le trame nere e i servizi deviati fecero il resto.

Rimanemmo con una modernizzazione abortita e con i suoi conati che hanno caratterizzato i decenni a venire. Un processo irrisolto che ha congelato il Paese e da cui non riusciamo a uscire.

Arrestati i latitanti (latitanti, per favore, e non esiliati come li ha chiamati l’ex brigatista Persichetti. Gli esiliati in Francia furono altri, furono i martiri della dittatura fascista: Piero Gobetti – tumulato al Pere-Lachaise in una tomba ancora oggi politicamente e storicamente anonima – Giovanni Amendola, Francesco Saverio Nitti, riferimenti di quella cultura liberale cui ci richiamiamo), sono ricomparsi i cattivi maestri.

Così Erri de Luca (e con lui un po’ di ex) ci chiede “cos’altro ci serve da queste vite”. Ci serve – non per vendetta ma per ordine repubblicano – che compaiano di fronte ad un giudice che pronunci, in nome sì del popolo italiano, una condanna per le vite che hanno spezzato. E vengano così avviati all’espiazione della pena – quale che sia – che il giudice naturale disporrà nei tempi e nelle modalità.

E ci serve che Erri de Luca, oggi applaudito frequentatore moraleggiante di salotti letterari, una volta per tutte definitivamente esca dall’equivoco e si associ alla condanna distinguendo tra lotta armata e lotta politica, che abbracci i valori più profondi del pacifismo e della non violenza. E ci chieda scusa per i sogni sessantottini liberali e libertari che lui e i suoi compagni di strada ci hanno rubato.

c’e’ sempre bisogno di giustizia

a cura della Associazione “MEMORIA CONDIVISA”
Marco Boato:” Macron cerca voti. Non credo ci sia ancora un bisogno di giustizia”
Parla l’ex dirigente di Lotta Continua e parlamentare per sei legislature: “Gli arrestati in Francia sono già stati tutti giudicati e condannati. Adriano Sofri ha ragione”

Marco Boato, cosa ha pensato quando ha appreso degli arresti dei terroristi? “Ho combattuto per decenni il terrorismo in tutte le sue forme, anche con qualche rischio personale e con nessuna simpatia per coloro che ne sono stati protagonisti. Ma sono stato anche il primo promotore della legge sulla dissociazione, per cercare di uscire da quella stagione buia. Dopo gli arresti di Parigi, ho pensato che Mitterrand, Chirac, Sarkozy e Hollande, presidenti di sinistra e di destra avessero ragione…

Carissimo Marco, stiamo parlando di una tragedia nazionale, con Cesare Battisti, si sono sottratti ai processi e alla giustizia. Giudicati e condannati, non un giorno di detenzione. Noi da anni ci battiamo contro la carcerazione, tranne i casi di violenza e pericolosità dei rei. La violenza sulle donne è un reato insopportabile. I brigatisti spararono nel gruppo, con gli occhi bendati. Il prezzo più alto è stato pagato da mogli e figli, lo ripeto, Adriano Sofri se ne farà una ragione, per i familiari è impossibile. Le immagini di Moro rannicchiato nella Renault,la telefonata: andate in Via Caetani, in via Caetani, ricorderemo per tutta la vita. Penso spesso al carissimo Marco Alessandrini, Benedetta Tobagi, i familiari della scorta di Moro, sono nomi che mi vengono in mente in questo momento, al brigadie Giuseppe Ciotta di Ascoli Satriano in provincia di Foggia, la maggior parte mentre stavano per salire in macchina. Commentare gli anni di piombo è una impresa impossibile, tanto è il sangue il dolore profuso a piene mani.

Avranno sicuramente gli arresti domiciliari, ma uno straccio di pena dovranno pur patirla oppure no? Cesare Battisti ci ha sbeffeggiato, ci ha fatto pure le pernacchia…è tollerabile? Per Adriano Sofri cosa significa la parola “giustizia”certo non è vendetta, ce lo spieghi, gli saremo grati . Le parole di Mario Calabresi sono sacrosante, parole che chiudono il cerchio. Ti abbraccio. Mario