LA REPUBBLICA IN OSTAGGIO

di giancarlo tartaglia

Dopo settimane in cui il Presidente della Repubblica ha consentito a grillini e leghisti, forse con eccessivo garbo istituzionale, di tenere in ostaggio lo Stato, è stato finalmente partorito il cosiddetto “Contratto per il Governo del cambiamento”, che, oltre a contenere aspetti decisamente ridicoli, quali la previsione della sua sottoscrizione da parte dei “signori” Di Maio e Salvini, le cui firme “leggibili” dovranno essere autenticate da un Pubblico Ufficiale, richiama alla mente nel suo complesso l’antico detto napoletano che certe cose non vanno messe in mano alle “creature”.

Ma, al di là di questa dimostrazione di reciproca stima dei due partners  e dell’infinito elenco di buoni propositi, che vanno, in ordine alfabetico, dall’acqua pubblica, all’università, passando per la cultura, la difesa, gli esteri, il lavoro, la sanità e chi più ne ha più ne metta, l’aspetto decisamente più preoccupante di tale Contratto riguarda il tentativo di intaccare la Costituzione del ’48 e disintegrarne l’architettura istituzionale.

Già di per sé, la decisione di sottoporre un accordo di Governo al voto dei gazebo e delle piattaforme appare come una evidente delegittimazione del Parlamento, che dovrebbe essere chiamato in prima persona a esprimersi su quel programma e che in questo modo si limiterà  a ratificarlo, come i grillo-leghisti pretendono. Inoltre, non può non destare grande preoccupazione, la previsione che qualora nel corso dell’azione di Governo dovessero emergere diversità interpretative, queste verranno deferite ad un sedicente comitato di conciliazione. Si tratta di una palese alterazione della legge sulla Presidenza del Consiglio, che ha previsto la possibilità di istituire un Consiglio di Gabinetto. Il comitato di conciliazione, al contrario del Consiglio di Gabinetto, dovrà essere un organismo, extra istituzionale, di controllo e di guida del Governo.

Se ne deduce che se questo programma dovesse essere attuato, il Presidente del Consiglio sarà una semplice testa di turco, una sorta di gerente responsabile, senza alcun potere reale. Se a ciò si aggiunge la richiesta di cancellare l’art. 67 della Costituzione e di introdurre l’obbligo di vincolo di mandato per i parlamentari, il quadro può considerarsi completo.

Di fatto, il Presidente della Repubblica è relegato ad un ruolo notarile, il Presidente del Consiglio ad un prestanome, mentre il Parlamento, ormai privo di funzioni, è rimesso nelle mani dei capi partito.

C’è da augurarsi che il dibattito politico che si sta aprendo ponga particolare attenzione a questo aspetto, che è essenziale e di grande importanza per le sorti della nostra democrazia. Tutti gli altri innumerevoli problemi inclusi nel libro dei sogni di questo maldestro Contratto passano in secondo piano. Un compito essenziale nei prossimi giorni spetta al Presidente della Repubblica, che è il Capo dello Stato e che rappresenta l’unità nazionale (art. 87), il quale dovrà riparare a questa lacerazione e dovrà riportare la situazione nei corretti binari della Costituzione: in particolare per quanto riguarda la nomina del Presidente del Consiglio, la nomina dei singoli ministri, il controllo sulle leggi, che è nei suoi poteri promulgare.

 

 

 

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