di francesca palazzi arduini*
La danza sulle note di YMCA allo Starlight Ball del riciclato presidente USA non è stato certo il solo particolare clownesco delle cerimonie presidenziali, ma ha ricordato la consolidata tradizione dei politici di destra nel saccheggiare la musica leggera per cercare di abbellire le proprie manifestazioni pubbliche.
Cultura “popular”, s’intende, e difficilmente usabile, perché il testo del brano cantato dai Village People allude alla possibilità di trovare ragazzi con cui passare la notte nei locali della Young Men’s Christian Association. «They have everything for you men to enjoy.You can hang out with all the boys…», …l’inno ironico della comunità gay Americana viene ripreso per un balletto dal Presidente new-deporter, ma allora il ministro Giuli ha ragione? La destra ha urgente necessità di una sua più calzante egemonia culturale?
In apparenza sì, e gli episodi da nido del cuculo simili a quello trumpiano sono numerosi in Italia, dall’uso di De Gregori (Generale) per salutare sul palco Vannacci, al monito di Vasco Rossi, sempre alla Lega, quando nel 2026 usò la sua C’è chi dice no…ma occorre andare più a fondo.
Certo, non si può intonare in stile country come a Washington America the beautiful per le convention tricolori, o usare la musica trap che inneggia alle pasticche Rolls (e chiama troie le groupies)…ma quel che argomenta Giuli nel suo Gramsci è vivo (160 sudate pagine per Rizzoli) non è solo l’ artificio voodoo di un pensiero scippato e messo fuori contesto (Gramsci pensava ai socialisti e non certo ai ministri in gilet di vellutino).
L’operazione fatta dal ministro col suo libro rivela quanto sia demodé proprio il concetto di “egemonia culturale”. Giuli rincorre l’egemonia, sognando autori che gli scrivano «un racconto dinamico dell’identità nazionale» nel quale i treni arrivavano in orario, ma questa esigenza di cantori d’alta qualità non può che essere frustrata, deve contentarsi di un altro tipo di “egemonia”, quella che ha consentito a Berlusconi di trasformarsi in Cavaliere e Signore del Biscione e che ha permesso a Trump di essere rieletto: l’egemonia nei mass media popular e in quelli emergenti.
Giuli non potrà avere il Michael Ende scippato per Atreju, ma disegna iperboli con la mente per un nuovo Futurismo “ferro e fuoco”, augurandosi intellettuali creativi ma più che conservativi, aggressivi: «Affinché la nuova destra possa transitare dall’epica trasfigurata del Signore degli anelli per entrare nella realtà, come diceva Carlo Rosselli: nell’era del ferro e del fuoco». Un volo pindarico, che fa fuoriuscire svogliata una domanda: ma perché diamine la destra italiana non si rassegna a possedere il suo spazio in Mediaset, e soprattutto sui nuovi media? Perché non rassegnarsi ed imitare Trump? Mica si può avere un Vasco Rossi, che cantasse magari Alba nera? O un Clapton italiano che ammiccasse sulle note non (solo) di Cocaine ma di Tavor. Perché allora scomodare Carlo Rosselli, un socialista liberale, e arrivare all’uso del termine “libertario” ma in chiave berlusconiana (la famosa casa delle libertà… fiscali), per fare da coro di trombe ad un corteo di decreti legge punitivi di chi manifesta e ad una nuova oligarchia? Il senso di inadeguatezza non può che rendere triste, e non giulivo, qualsiasi minestrello.
Questo bramare l’egemonia è dunque un recupero in corner dopo una serie di epurazioni culturali e allontanamenti dal “sentimento nazionale” considerato troppo antifascista, come quella scelta di evitare Bella ciao, da quando Berlusconi chiese che non venisse eseguita al concerto del Primo Maggio a Roma (2002), a quando Laura Pausini non volle cantarla perché “schierata” (2022). Insomma un volere capra e cavoli: una riabilitazione del fascismo (e quindi un allontanamento dalla memoria comune e dal buon senso) e anche un best-seller che ispiri riviste e scolaresche. Ma copiate gli Stati Uniti, che chi si contenta gode!
Una recente ricerca di Bloomberg (23 gennaio), The Second Trump Presidency, Brought to You by YouTubers ha analizzato la diffusione di contenuti pro Trump tra i nuovi seguitissimi podcast. Se guardiamo agli Usa, sciagurata sfera di cristallo degli scenari italiani, vediamo nell’analisi di oltre 2000 video di podcasters, sia da Youtube che da Spotify e da altri host, centinaia di milioni di visualizzazioni dei contenuti dei nuovi Influencer (quali Joe Rogan, Theo Von e Logan Paul), ovviamente tutti maschi, a favore dell’elezione di Trump.
Non è un caso che, vista l’inedita e vincente alleanza tra nuovi e vecchi ricchi, anche Zuckerberg abbia seguito l’onda e allentato le politiche di Meta su Facebook e Instagram per consentire l’espressione contenuti “fake” o offensivi dei podcaster, come la denigrazione delle persone transgender o le falsità sui dati dell’economia o della sanità, scrivono gli analisti dei media. Non solo, tra i consiglieri di Meta ora c’è Dana White, di Ultimate Fighting Championship (leader nello spettacolo delle arti marziali), che ha spesso chiesto a Trump a unirsi come ospite sui podcast.
Anche Elon Musk, su X, ha apportato di recente modifiche alla piattaforma per consentire uno streaming video più lungo, per favorire i podcast, ed è stato spesso ospite online. Google, nel frattempo, sta rendendo sempre più popolare YouTube tra i conservatori.
Il pubblico dei podcaster USA è in media all’80% maschile, dei 903 ospiti del podcast tracciati da Bloomberg negli ultimi due anni, solo 106 persone, o il 12 per cento, erano donne. E gli ascolti alle stelle hanno transitato molti elettori dalla Harris a Trump, sulla scorta di argomenti testosteronicamente sensibili quali: la protezione dei confini USA dall’immigrazione, la contrarietà rispetto alla ambigua politica estera di Biden, l’odio per le persone Lgbt e la diffamazione delle persone transgender, la paura per ‘Big Pharma’, la convinzione che Trump batterà l’inflazione, la volontà di mantenere il diritto dei civili alla detenzione di armi da guerra, e non in ultimo lo “spirito” dei maschi americani che sarebbe “depresso dai democratici”.
I podcast USA di successo viaggiano con numeri altissimi di click, considerato che circa il 50% delle persone di età superiore ai 12 anni ascolta almeno un podcast al mese. L’intervista di tre ore di Joe Rogan con Trump a fine ottobre ha attirato circa 50 milioni di visualizzazioni su YouTube ma se sommiamo gli episodi sui canali con ospite Trump raggiungiamo un totale di 100 milioni di visualizzazioni.
Il formato tipico dei podcast è un’intervista lunga con ospiti con un vasto appeal culturale, tra i quali atleti, musicisti, comici, imprenditori e influencer. Ognuno dei canali Youtube esaminati da Bloomberg si rivolge a un pubblico prevalentemente maschile, ha almeno 1 milione di abbonati, ha avuto Trump come ospite prima delle elezioni statunitensi. YouTube ora supera Spotify e Apple per i podcast. Oltre il 90% degli adulti statunitensi di età compresa tra 18 e 49 anni utilizza il sito; il 75% degli adolescenti americani dichiara di visitarlo quotidianamente.
Questo fenomeno, opportunamente finanziato sia dalle destra repubblicana che dall’economia emergente (ad esempio dalle Cryptomonete), allarga al mondo della post-Tv la strategia di pressione sui social media sperimentata anche nel nostro paese; l’Italia ha visto infatti non solo il fenomeno Mediaset sostenere strategicamente il centro destra ma anche l’escalation salviniana sorretta da una larga disseminazione dei contenuti d’odio grazie al lavoro sui social, corredato da una intensa attività di troll, sino al sorpasso di Meloni (11,3 milioni di follower, Salvini 9,9 milioni, ma Salvini pubblica, nel 2024, 5.723 post rispetto ai 1.583 di Meloni).
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica (2018), e la raggiunta consapevolezza che i social media, con l’uso dei dati degli utenti, erano diventati strumento di propaganda strategica, la reazione politica e dell’opinione pubblica aveva posto dei limiti alla manipolazione, anche con quelle improbabili regole di etichetta su Facebook (proprio ora ritirate) ed il bando provvisorio di Trump dal 2021 al 2023 su Twitter, azienda acquistata da Musk nel 2022.
L’egemonia culturale della destra è quindi semplice questione di controllo. Ribadire una presenza massiva sui nuovi social media e anche tentare di scardinare o perlomeno silenziare le vecchie testate giornalistiche mainstream, e poi il controllo politico anche degli organi culturali, come scrive Giorgio Ghiglione su Foreign Policy (Internazionale). Ghiglione ci ricorda come il ministro Giuli sia stato designato come direttore del museo Maxxi (nel novembre 2022) e come il governo Meloni abbia insediato un ex attivista missino, Giampaolo Rossi, come direttore generale Rai, oltre che Pietrangelo Buttafuoco, sempre ex Msi, alla Biennale di Venezia. Una strategia più di contenimento e sfogo ideologico che di organica “affermazione” culturale.
francesca palazzi arduini, saggista ed attivista, si occupa di comunicazione, in special modo del rapporto tra pensiero libertario, femminismo e nuove tecnologie. È stata collaboratrice storica di A rivista anarchica. Suoi recenti saggi tematici e articoli su varie testate web (Facebook e l’Aldilà, Contro l’internet delle cose, 2020, Pensiero libertario e democrazie nell’epoca del voto digitale 2022, L’inconscio è morto, 2023). Ha recentemente pubblicato Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità (2022) e Rivolte in scatola. Resistenza civile e smart repression (Novalogos, 2023).