Archivi tag: giustizia

Giustizia, è una questione di lingue straniere

di angelo perrone

“La sentenza era complessa e scritta in francese, i giudici non l’hanno compresa”, irresistibili le esondazioni verbali del ministro, al secolo Carlo Nordio, il quale – va detto – conferma la sua formazione per via di trascorsi e studi. La funzione comunque non è scissa dall’estetica. Quando si dice che l’occhio vuole la sua parte. Sobrietà di modi, e di concetti, quelli si sa.

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L’apartheid giudiziario di Mr. Nordio 

di maurizio fumo

Partiamo dal presupposto che un governo e la sua maggioranza, fino a prova del contrario, non progettano riforme inutili. Ogni mutamento legislativo ha (o dovrebbe avere) una sua ratio: deve insomma mirare a uno scopo pratico da raggiungere, deve proporsi di ottenere un risultato; utile o dannoso, secondo i punti di vista.

Fatta questa premessa, appare lecito chiedersi quale sia la ragione per la quale si vuole separare la “carriera” del PM da quella del magistrato giudicante.

La domanda è tutt’altro che oziosa, dal momento che, con la c.d. “Riforma Cartabia”, è stata introdotta una separazione delle funzioni  (giudicanti e requirenti) che rende di fatto quasi impossibile il passaggio di un magistrato da un ruolo all’altro. Infatti tale passaggio può avvenire una sola volta nel corso di tutta la vita professionale e comporta che chi cambia funzione debba cambiare anche corte di appello, il che, il più delle volte, determina anche che si debba andare ad abitare in altra regione (sono poche le regioni nei cui confini vi siano più corti di appello).

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IL MONOPOLIO DELLA GIUSTIZIA

di maurizio fumo

  1. A) “Il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro 10 giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione: entro due giorni dalla formulazione della imputazione, il giudice fissa, con decreto, l’udienza preliminare”.
  2. B) “Il P.M. è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede”.

La prima frase (A) riproduce il quinto comma dell’art. 409 del codice di procedura penale (tutt’ora in vigore, non inventato dal GIP di Roma); la seconda (B) proviene da “fonti” del Ministero della Giustizia, palazzo nel quale (solo ora, evidentemente) si sono accorti che questo controllo del giudice sul P.M. (“monopolista”) non va bene.

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il funerale della giustizia?

Trovo disdicevole che il presidente del Senato, che ha fatto l’avvocato, dopo che il figlio è stato indagato per una fattispecie di ipotizzato reato, si affanni e precipiti a rilasciare interviste, esordendo con un perentorio ” ho interrogato a lungo il ragazzo…. è innocente …”.
Sostituendosi ai giudici e quasi prevaricandoli. Est modus in rebus .
Comprensibile l’affanno del genitore . Inaccettabile un affermato interrogatorio pro domo fili. Molto poco istituzionale . E deontologicamente poco corretto per un avvocato. Fa il paio per altro verso con le esternazioni del ministro Nordio ex PG che dopo l’imputazione coatta disposta da un giudice , secondo le leggi vigenti, a carico di un suo sottosegretario nel delicato ministero della Giustizia, sbotta pubblicamente affermando la necessità di impedire al giudice di imporre l’imputazione. Una ingerenza a processo in corso lesiva dell’autonomia della funzione giudiziaria. Che fa ulteriore paio con la volontà da lui
dichiarata, dopo la vicenda Santanche’, di riformare la normativa in tema di avviso di garanzia . Impedendo indagini esplorative a sorpresa e informando subito chi potrebbe essere indagabile. Quasi mettendolo in caso
di gravi reati e non solo nella condizione di eclissarsi per tempo o di occultare le prove o manipolarle . Se poi si aggiunge a questa deriva etica prima che giuridica, la proposta in fieri di condizionare la custodia in carcere alla previa audizione collegiale di chi potrebbe essere arrestato (senza che in molte sedi possa esser formato un collegio per carenza di personale )allora viene da pensare che il funerale della giustizia è in corso.

LE NORDATE HANNO POCO DI LIBERALE

di maurizio fumo

Nordio non smette di stupirci con le sue esternazioni. Difficile selezionare quelle più (tragicamente) divertenti. Questa volta occupiamoci di intercettazioni e dei delitti di corruzione.

In sintesi il Nostro ha affermato: a) che le intercettazioni non sono prove ma mezzi di ricerca della prova (da ultimo: L’IDENTITA’ del 21 dicembre), b) che esse si concedono e si eseguono (in Italia) sulla base di semplici sospetti, c) che, nelle indagini sui reati di mafia, sono inutili perché i mafiosi non parlano per telefono (IL FATTO QUOTIDIANO 21 dicembre), d) che il loro principale utilizzo consiste nel rovinare la reputazione di persone estranee ai reati per i quali si procede (lo dice in pratica in tutte le interviste che rilascia), e) che è inutile, anzi dannoso, punire il corruttore, al quale bisogna, viceversa, assicurare l’impunità, così lo si invoglia a collaborare e a denunziare il corrotto (tra le tante: LA STAMPA 7 dicembre). Continua la lettura di LE NORDATE HANNO POCO DI LIBERALE

LA VENETIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

di maurizio fumo

Il Fratello d’Italia, Nordio dott. Carlo (da poco parlamentare e quindi ministro), si è reso conto – ma guarda un po’ – che nel settore giustizia c’è una netta prevalenza di meridionali. In tutte le categorie professionali, dai magistrati ai commessi (più tra i primi che tra i secondi, per la verità). Si è anche reso conto che ciò determina un pesante turn over in danno degli uffici giudiziari del nord Italia, in quanto i “terroni”, dopo qualche anno, tendono (e quasi sempre ci riescono) a tornare dalle loro parti. Situazione che certamente non si è determinata negli ultimi tempi, ma che dura … da sempre.

Soluzione: forse incentivi? economici, di carriera, in termini di ricongiunzione familiare, ecc. Macché. Regionalizzazione dei concorsi!  Questa è la chiave di volta (IL GAZZETTINO 8/11/2022) “Nordio: legge speciale per reclutare in regione personale per i tribunali”. La notizia ha fatto eccitare non pochi valligiani e simpatizzanti del carroccio, che hanno immaginato di poter avere, finalmente, “giudici loro” (REPUBBLICA on line 7/11/2022) “Magistrati regionali? Leghisti in visibilio, ma Nordio parlava solo del personale amministrativo”.

Però chissà, magari è un primo passo. Poi vedremo.

D’altronde il taglio provinciale di fratel Nordio è abbastanza marcato. Ha nominato suo capo di gabinetto il dott. Alberto Rizzo, già presidente del Tribunale di Vicenza, e  ha scelto come capo dell’ufficio legislativo il dott. Antonello Mura, ottimo magistrato che ha egregiamente militato nella Procura generale della Cassazione, ma che, temiamo, sia stato selezionato perché, da ultimo, è stato Procuratore generale di Venezia. Come “prima uscita”, poi, il Nostro è andato prima a Treviso, poi a Venezia. Certamente non si tratta degli uffici giudiziari più rilevanti (e più problematici) d’Italia. Ma tant’è: ancora uno step e poi vedremo sventolare il leone di san Marco a via Arenula.

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Franco Cordero  sul ‘processo breve’ (di B.)

«Imporre tempi massimi; due anni nel primo grado, escluse le indagini preliminari; altrettanti in appello; idem davanti alla Cassazione, e il processo svanisce appena superi una delle tre soglie. Alta stregoneria. Che io sappia, e credo d’ intendermi delle fisio-patologie giudiziarie, non era mai avvenuto; infatti, mancano le parole tecniche con cui dirlo: chiamiamola sopravvenuta improcedibilità, non risultando una sentenza tempestiva; ad esempio, il termine scade dopo la condanna confermata in appello; accusa, prove, due condanne, sprofonda tutto nella curva dell’oblio, come i sogni dissipati dall’ alba.
Fenomeno inaudito (l’estinzione del processo civile non scalfisce diritti delle parti né toglie effetto alle sentenze), e ripugna al sistema: l’obbligo del pubblico ministero (art. 112 Cost.) implica azioni irretrattabili; le ruote del processo girano da sole fino alla decisione sul reato. Finché esista l’art. 112 Cost. i processi non svaniranno d’ incanto ai rintocchi della mezzanotte: quel pubblico ministero ha agito perché doveva; l’effetto è irreversibile; tribunale o corte competenti giudicheranno, assolvendo o condannando, salvo che un’amnistia o il tempo criminofago inghiottano l’ipotetico reato» 

GIUSTIZIA ALLA ROVESCIA

In galera un giovane laureato, impegnato nel sociale a favore dei deboli e dei poveri, perché alla Statale di Milano rifiutò per protesta con molti altri di pagare delle fotocopie fatte nella libreria di Comunione e Liberazione. Invece ai domiciliari l’assessore leghista che ha ucciso un extracomunitario un po’ sbronzo sparandogli da vicino.
No comment.

Pino Nicotri

La riforma Draghi-Cartabia colpisce dove fallì la Bicamerale

di gian giacomo migone

Non funziona l’alibi “lo vuole l’Europa”, visto che una parte delle tensioni con Varsavia e Budapest derivano dal sopruso di quei governi sui poteri delle loro magistrature.
Salvo ripensamenti dell’ultima ora, la riforma Draghi-Cartabia conferisce al Parlamento poteri d’indirizzo sulle priorità dell’azione giudiziaria, in violazione del sacrosanto principio della
separazione dei poteri che ispira la nostra Costituzione e, potenzialmente, dell’indipendenza della magistratura.
In tal modo, si realizza un obiettivo perseguito da anni con tenacia da un variegato schieramento partitico non privo di propaggini, se non diramazioni, all’interno della sinistra, ma soprattutto da quegli interessi privati e pubblici che s’intrecciano a vario titolo, non di rado illegalmente, con l’esercizio del governo.
Né il governo di oggi, con la maggioranza che lo sostiene, potrà accampare il solito alibi di un’imposizione di Bruxelles; che, anzi, potrebbe anche riservarci qualche sorpresa positiva, visto che
una parte importante delle tensioni con Varsavia e Budapest derivano proprio dalle manomissioni da parte di quei governi dei poteri delle loro rispettive magistrature.
Un poco di storia con un’impronta personale,

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Falcone e Borsellino, ricordarli senza retorica

di angelo perrone *

Il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a distanza di quasi trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, non rischia di scadere nella retorica celebrativa. Non solo a causa della tragicità sanguinosa degli eventi. Ad alimentare la memoria, è il pensiero commosso per quella testimonianza di vita a servizio della giustizia

Il rischio è cedere alla tentazione della retorica commemorativa, fatta di slogan e luoghi comuni, quando ricorrono anniversari drammatici. Come quello delle stragi mafiose del 1992, Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e gli uomini e donne delle loro scorte.

Ecco cerimonie nelle quali vengono espressi concetti roboanti, destinati a durare il tempo delle celebrazioni. Il momento centrale è rappresentato dall’intervento di esponenti politici, uomini delle istituzioni, rappresentanti di organizzazioni. Corone d’alloro, fiori, discorsi. La fase con il maggior rischio retorico.

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Beppe Lopez e la vessazione in agguato: quando la giustizia diventa ingiusta

di pino nicotri

Dopo oltre 20 anni di attesa il giornalista e scrittore di lungo corso Beppe Lopez, cronista di politica interna dell’esordio di Repubblica e man mano detentore di un curriculum di tutto rispetto, s’è visto negare dal tribunale di Potenza tutti i suoi diritti economico professionali nonostante risultassero nero su bianco da regolari contratti di lavoro. Come se non bastasse, di recente è stato condannato non solo a pagare 30 mila euro di spese processuali e parcelle alla controparte, ma anche a cominciare a pagarle subito senza aspettare l’esito dei sui ricorsi in appello. Insomma, come si suol dire, cornuto e mazziato.

Il tutto in un tribunale il cui bar, dal 2017 ufficialmente gestito dalla società “Bar del Tribunale Srl”, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia sarebbe in realtà gestito da prestanomi e affiliati di un’organizzazione mafiosa colpita il 27 aprile da 17 mandati di cattura. Ma torniamo a Beppe Lopez.

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Quella lunga scia di sangue che ci ha rubato il ’68

di franco caramazza 

Il ’68 nacque liberale e libertario. Era la prosecuzione della lotta per il divorzio, i diritti civili, il rifiuto dell’autoritarismo. Era gioia, liberazione sessuale, voglia di valori laici e di modernità. Era figlio del miracolo economico e dei primi viaggi in 500 in giro per l’Europa.

Quando occupavamo le aule universitarie – a partire da Palazzo Campana a Torino – lo facevamo perché volevamo abbattere la gerarchia nel sapere e il potere accademico, quello figlio del familismo e della consorteria delle parentele. Avevamo intuito che quel grumo, che avevamo imparato a conoscere nelle Università ma che pervadeva ampi strati della società “borghese”, impediva il libero dispiegarsi delle energie di una società che non poteva affidare la sua modernizzazione solo alla diffusione degli elettrodomestici e degli altri beni di consumo.

Sognavamo una rivoluzione liberale.

Ma poco dopo presero il sopravvento i temi operaistici, agitati dalla cultura catto-comunista. Le Università furono abbandonate e la paligenesi fu cercata fuori dai cancelli delle fabbriche e nel conflitto di classe.

Infine, su tutte le nostre speranze e le nostre idealità si abbatté – di lì a poco – il terrorismo rosso e la P38.

La complice connivenza di fiancheggiatori, simpatizzanti, cattivi maestri e di quanti a sinistra – almeno fino all’omicidio del sindacalista Rossa – mantennero un atteggiamento ambiguo generarono un’area grigia nel dibattito politico in cui non si è distinto con la necessaria e indispensabile nettezza tra lotta politica e violenza, tra quanti amavano il confronto dialettico e quanti imbracciavano la P38.

Le trame nere e i servizi deviati fecero il resto.

Rimanemmo con una modernizzazione abortita e con i suoi conati che hanno caratterizzato i decenni a venire. Un processo irrisolto che ha congelato il Paese e da cui non riusciamo a uscire.

Arrestati i latitanti (latitanti, per favore, e non esiliati come li ha chiamati l’ex brigatista Persichetti. Gli esiliati in Francia furono altri, furono i martiri della dittatura fascista: Piero Gobetti – tumulato al Pere-Lachaise in una tomba ancora oggi politicamente e storicamente anonima – Giovanni Amendola, Francesco Saverio Nitti, riferimenti di quella cultura liberale cui ci richiamiamo), sono ricomparsi i cattivi maestri.

Così Erri de Luca (e con lui un po’ di ex) ci chiede “cos’altro ci serve da queste vite”. Ci serve – non per vendetta ma per ordine repubblicano – che compaiano di fronte ad un giudice che pronunci, in nome sì del popolo italiano, una condanna per le vite che hanno spezzato. E vengano così avviati all’espiazione della pena – quale che sia – che il giudice naturale disporrà nei tempi e nelle modalità.

E ci serve che Erri de Luca, oggi applaudito frequentatore moraleggiante di salotti letterari, una volta per tutte definitivamente esca dall’equivoco e si associ alla condanna distinguendo tra lotta armata e lotta politica, che abbracci i valori più profondi del pacifismo e della non violenza. E ci chieda scusa per i sogni sessantottini liberali e libertari che lui e i suoi compagni di strada ci hanno rubato.