di pietro polito
L’Italia, l’Europa, il mondo sono alle prese con il rischio di una barbarie ritornata. Un rischio globale che impegna direttamente la cultura prima ancora che la politica. Una cultura che, per ora, sembra tristemente assente dal dibattito politico. Tanto che a ragione si è ancora una volta parlato di tramonto degli intellettuali[1].
Non appartengo al folto esercito degli ottimisti. L’avvenire immediato è cupo e quello lontano non è roseo. Ad un amico più giovane che mi invita ad uscire da una visione più ampia e da un approccio più astratto, che mi sono naturali e più congeniali, e ad espormi su un piano più personale, rispondo che le cose che non so sono di più di quelle che so.
Non so se le misure di contenimento del contagio siano giuste. Non so se vale la pena di pagarne il prezzo. Non so se e entro quali tempi raggiungeranno l’esito sperato. Non so se si manterranno nell’ambito delle regole democratiche o andranno in rotta di collisione con la nostra Costituzione. Non so se dopo la grande paura saremo migliori o peggiori. Non so se nulla sarà più come prima o se tutto continuerà come prima. Sapremo mantenere la promessa più volte ripetuta in questi giorni che non ci sarà alcun oblio?