Il linguaggio politico, tra disprezzo e disaffezione democratica

di angelo perrone

 Il linguaggio dei politici, spesso, sembra aver perso ogni freno, scivolando in una retorica che avvelena il dibattito pubblico. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, definisce gli elettori “schifati” per la bassa affluenza a un referendum senza quorum: non fa un semplice scivolone di linguaggio, ma di sostanza. Nell’esternazione, non c’è analisi, difettano il commento, la riflessione. Le parole disvelano una disistima per gli elettori che sono esattamente i soggetti che lui (l’abbiano votato o meno) dovrebbe tutti rappresentare, colpiscono la dignità del cittadino, qualunque sia la decisione sul referendum, o in genere sul voto politico.

Questo genere di comportamenti non è incidente, ma strategia.  Diventa uno strumento per polarizzare, per marcare il territorio, per ridurre la complessità della disaffezione elettorale ad atto viscerale, solo disgusto, “schifo”. Nel pantano verbale che si genera, le idee latitano, manca il linguaggio capace di illuminare e di unire intorno a valori comuni. La politica smarrisce la capacità di parlare al Paese con rispetto e serietà. Il rischio è che i cittadini non si sentano solo “schifati”, ma estranei a un mondo così degradato.

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