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REVISIONISMO LIBERALFASCISTA

di enzo marzo

Adesso se la prendono con la povera Meloni, che addirittura aveva elogiato tempo fa i due autori del Manifesto di Ventotene, ma che ora si è redenta. Pur proveniente da una scuola molto solida fondata sulla Carta di Verona e su Fascismo e antifascismo del Duce, non si era accorta che il Manifesto era stato scritto, come affermano le sue fonti, da «giacobini leninisti». Ma adesso, grazie alla lettura critica dei tre grandi maestri del neo liberalfascismo come Porro, Ocone e Capezzone, ha potuto rettificare il tiro e inquadrare giustamente il testo nella tradizione trotskista, evitandosi la rottura di scatole di leggersi quel centinaio di pagine scritte, tanto per passare il tempo, durante quella «passeggiata di salute» come fu definito il confino fascista da Berlusconi, un vero liberale alla Porro.

La foto qui sopra riprende i due vacanzieri leninisti in una nota località turistica svizzera dove si incontrarono con Luigi Einaudi, scappato dalla noia torinese per dare le Lezioni di politica sociale, altro testo classico della propaganda sovietica. (A quando un attacco feroce a Luigi Einaudi, che da vero giacobino rosso non tenne conto dell’insuperabile Carta del Lavoro del ’27 e – per confondere le idee – si spacciò per liberale tutta la vita? Ma i nostri liberalfascisti mica si fanno ingannare…). E proprio in Svizzera i tre terroristi discussero della nuova Europa federalista, prefigurandola evidentemente come parte essenziale del Patto di Varsavia prossimo venturo.

Parliamoci chiaro, come fa un’almirantiana a far sua l’idea di un’Europa federale non orbaniana? Giorgia è stata trascinata in un equivoco. I suoi tre grande maestri liberalfascisti non riescono a distinguere tra l’idea europeista e Federalismo, e l’hanno fatta incorrere in un tragico errore accanendosi contro la tesi ovvia che Spinelli – Rossi NON sono i precursori della Unione europea così come è stata costruita, bensì di un’idea di Europa legata al progetto di un’Europa federale. L’UE fu dagli anni ’50 del Novecento, con passi progressivi, la realizzazione “possibile” e realistica e insufficiente di una unità tra i paesi usciti dal disastro della guerra. E fu una gran cosa, pur con gravi difetti, di cui godiamo tuttora i vantaggi. Ma non era l’Europa federale che i “leninisti” immaginavano e per cui lottarono tutta la vita: un’Europa democratica di Stati uniti dai valori liberali. Ma, ovviamente, come fa a piacere a Meloni che è fiancheggiatrice di un Orban che è dedito nel suo paese a costruire una “democrazia illiberale”?

Spinelli-Rossi hanno pensato un’Europa che non sta alle nostre spalle, né nel presente, ma davanti, urgentissima, essendo diventata una necessità assoluta dopo l’abbandono da parte di un’America sempre più reazionaria e autoritaria e dopo i pericoli che s’intravedono ai nostri confini.

E ciò li rende non dei “falliti” ma dei “profeti”.

MELONI E IL MANIFESTO DI VENTOTENE

di antonella braga

Dichiarazione della Fondazione “Ernesto Rossi – Gaetano Salvemini” di Firenze dopo le affermazioni della Presidente del Consiglio sul Manifesto di Ventotene

In riferimento alle affermazioni odierne della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sul Manifesto di Ventotene, la Fondazione “Ernesto Rossi – Gaetano Salvemini” di Firenze contesta l’uso politico della storia e la lettura strumentale del documento, operata a esclusivi fini ideologici, estrapolando e decontestualizzando alcuni passi del testo per distorcerne il significato in senso denigratorio.
Così facendo si offende la memoria di uomini che furono condannati a lunghi anni di carcere e di confino da parte del regime fascista per la loro strenua difesa dei valori di libertà e giustizia. Non è questa la prima volta in cui il Manifesto federalista è stato preso come bersaglio polemico dai nemici del processo di unità federale dell’Europa, ma è la più grave per la carica istituzionale
rivestita da Giorgia Meloni, per la sede ufficiale in cui ha espresso le sue valutazioni e per la grave situazione internazionale che richiederebbe invece investimenti morali e politici sull’Europa in una
prospettiva di integrazione dei popoli e di pace. C’è dunque la necessità di fare ancora una volta chiarezza.

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Dichiarazione del Movimento europeo Italia dopo le affermazioni della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sul Manifesto di Ventotene

di pier virgilio dastoli

Il Manifesto di Ventotene, scritto  al confino nel 1941 quando quasi tutta l’Europa era stata violentemente occupata dall’esercito nazista con il sostegno di Mussolini e quindi storicamente collocato in quel momento buio della storia europea, è il testo più elevato durante la seconda guerra mondiale e nel quadro della Resistenza europea dell’analisi delle cause delle guerre legate ai nazionalismi e alle sovranità assolute e dell’urgenza e della necessità di fondare dopo le guerre una democrazia solida destinata a durare nel tempo per la libertà, la giustizia e la pace.

Per giungere a questo risultato Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni e le altre compagne e compagni del confino erano convinti che la strada da percorrere fosse quella del superamento degli Stati nazionali con una organizzazione capace di difendere e costruire nel tempo un progetto politico e non ideologico di società aperta.

Vale la pena di ricordare, che per questo impegno legato alla difesa e alla libertà, Altiero Spinelli fu espulso dal Partito Comunista nel 1937 dopo essere stato condannato dal regime di Benito Mussolini a sedici anni di carcere duro e che Ernesto Rossi fondava la sua cultura sui principi del cosmopolitismo liberale ed Eugenio Colorni sulla cultura dell’internazionalismo socialista.

Le dichiarazioni di Giorgia Meloni oggi alla Camera dei Deputati confermano che la sua formazione è legata all’idea dello Stato nazione di Giorgio Almirante che fu redattore della rivista “La difesa della razza” ricordando che Fratelli d’Italia non ha mai cancellato dal suo simbolo la fiamma tricolore e che Giorgia Meloni vorrebbe trasformare le Camere in aule sorde e grigie agli ordini della sua visione di una società fondata sul principio dello Stato nazione in Italia, in Europa e a livello internazionale.

Chiediamo alla società civile, al mondo del lavoro, delle imprese e alle forze politiche di scendere in piazza per una pacifica insurrezione già domenica 23 marzo per manifestare davanti alla lapide dedicata a Altiero Spinelli alla Camera dei Deputati in Via Uffici del Vicario e davanti alla tomba di Altiero Spinelli sull’isola di Ventotene.

Roma, 19 marzo 2025

peggio del bivacco di manipoli

di riccardo mastrorillo

Oggi la Capa del Governo italiano ha portato nell’aula della Camera dei Deputati un incredibile attacco al Manifesto di Ventotene, sbeffeggiando i firmatari e manipolando il testo del Manifesto:

«Non mi è chiarissima nemmeno l’idea di Europa a cui si fa riferimento….anche in quest’Aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene, ora io spero che tutte queste persone in realtà non abbiano mai letto il Manifesto di Ventotene, perché l’alternativa sarebbe francamente spaventosa, però a beneficio di chi ci guarda da casa e chi di chi non dovesse averlo mai letto io sono contenta di citare testualmente alcuni passi salienti del Manifesto Primo: “la rivoluzione Europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista” e fino a qui vabbè», ha detto Meloni, proseguendo: «E ancora “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso…”» Continua la lettura di peggio del bivacco di manipoli

Per conoscere il Manifesto di Ventotene

di pier virgilio dastoli

In un dibattito in Parlamento mercoledì 19 marzo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha criticato il Manifesto di Ventotene, un documento del 1941 che ha ispirato la nascita dell’Unione europea dopo la Seconda guerra mondiale. In risposta alla premier, Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo, rievoca in questo articolo la nascita del Manifesto e le sue basi ideologiche.

Mi è capitato – nelle conversazioni universitarie, negli incontri con le scuole e nei seminari federalisti a Ventotene – di evocare il Manifesto «per un’Europa libera e unita» scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il contributo di Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann e Ada Rossi nell’inverno 1940-1941, come frutto di intense discussioni all’interno di un piccolo gruppo di confinati antifascisti, e completato all’inizio dell’estate 1941 per diffonderlo nei canali della clandestinità antifascista prima in Italia e poi in alcuni ambienti intellettuali in particolare in Francia e in Svizzera.

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Sì, cara Meloni, il Manifesto di Ventotene è di sinistra. Più a sinistra delle attuali forze rappresentate in Parlamento.

di giuseppe civati

Sì, cara Meloni, il Manifesto di Ventotene è di sinistra. Più a sinistra delle attuali forze rappresentate in Parlamento.

La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi la emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita.

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le radici fasciste

di andrea ricciardi

Bagarre alla Camera dopo che Giorgia Meloni ha letto brevi pezzi del Manifesto di Ventotene (Per un’Europa libera e unita), scritto durante la guerra nel 1941 da  e , confinati sull’isola dal  dopo essere stati in carcere. Fu pubblicato nel 1944 grazie a Eugenio Colorni, che ne scrisse la prefazione e fu ucciso dai fascisti. Meloni ha detto che quella del manifesto «non è la sua Europa», accusando in sostanza Rossi e Spinelli di essere antidemocratici. Siamo al rovesciamento della realtà, alla propaganda di chi, citando frasi fuori dal contesto in cui furono scritte, ridicolizza gli oppositori del fascismo ma, così facendo, si schiera al fianco dei fascisti, alleati di ferro dei nazisti, che il manifesto voleva sconfiggere attraverso una rivoluzione federalista. Se la libertà ha vinto è merito di tutti gli antifascisti, anche di Spinelli, Rossi e Colorni. Meloni, una volta di più, dimostra che i suoi riferimenti storici sono coloro che gli antifascisti li hanno uccisi, incarcerati, confinati, costretti all’esilio. È presidente del Consiglio di una Repubblica democratica di cui, coerentemente, non riconosce le radici antifasciste.

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le citazioni colte

Potremmo mandare ai troppi che non sanno leggere un testo, nella specie il Manifesto di Ventotene [ che immagino letto forse da 1 italiano su 400mila o giù di li”]  e che tuttavia  sproloquiano fingendosi o improvvisandosi sapientoni  sempre sul pezzo, l’ammonimento sempre valido del grande giurista Celso, II secolo d.c., a uomini e giuristi o sedicenti tali : scire leges non est verba earum tenere sed vim ac potestatem. Dopo di che pare che quanto detto dalla presidente del consiglio sul Manifesto di Ventotene sia  prodotto  non suo ma di Capezzone . Nel rivolgere il monito di Celso a lui, se è stato lui, non resta che piangere per la scelta della presidente del consiglio, che giovane e volenterosa poteva far meglio.

P.S. conoscere le leggi non significa recitarle meccanicamente ma coglierne il significato e la forza sostanziale

Buttarla in caciara

di angelo perrone

Funziona sempre, non c’è verso. È la tecnica di chi getta un grosso sasso nello stagno mentre tanti curiosi sono chini ad osservare i pesciolini che sguazzano. L’effetto sono gli schizzi negli occhi, le reazioni, gli insulti per l’insano gesto. In Parlamento Giorgia Meloni doveva replicare nel dibattito sulla questione del “riarmo” dell’Europa dopo le mosse improvvide di Donald Trump. E lei che fa, come si approccia? Estrapola brani a casaccio del manifesto di Ventotene per prendersela con l’opposizione. Quei brani davano l’idea che gli autori disprezzassero il metodo democratico e perorassero addirittura una sorta di dittatura rivoluzionaria. Un ottimo pretesto polemico, dimenticando che il senso profondo del manifesto era altro: l’idea nobile di un continente unito, solidale e in pace dopo una guerra sanguinosa. Lei conclude, ovviamente irritando l’opposizione, «non è questa la mia Europa».  Bagarre in aula, proteste, schiamazzi, seduta sospesa. La caciara prevale sul tema in discussione, che non era di poco conto, come fare di fronte al tradimento ignobile americano sulla difesa dell’Ucraina invasa ed aggredita. Ma era importante per la Meloni sfuggire al tema, rifugiarsi altrove, per giustificare la sua vicinanza a Trump e la sua lontananza dalla solidarietà europea in un momento di crisi e di ripensamento del proprio ruolo. E l’opposizione cade nella trappola facendosi travolgere dall’irritazione. La frase della Meloni era capziosa, prima che irritante. Identificava falsamente l’idea di Europa moderna, responsabile, e autonoma da tutti con le citazioni discutibili del manifesto. Le serviva strumentalmente non già per affermare l’importanza del metodo democratico ma per assolvere sé stessa dalle ambiguità rispetto ai rapporti odierni UE-USA. Peccato non aver colto il punto, e non aver saputo reagire a dovere.

 

UN VOTO PER MATTEOTTI

di Marco Cianca

 
L’immorale Amerigo Dumini, capo della Ceka, la polizia segreta fascista, guidava i sicari che il 10 giugno 1924 rapirono e uccisero Giacomo Matteotti. Arrestato a causa di prove talmente inoppugnabili che nemmeno il regime poteva occultare, in un processo farsa a Chieti, marzo 1926, difeso da Roberto Farinacci, fu condannato a soli cinque anni di reclusione di cui quattro condonati. Riprese subito la sua vita da avventuriero, tenendo Mussolini sotto ricatto per ottenere continue elargizioni. Allevatore di polli, imprenditore agricolo, oste, contrabbandiere, spia partecipò alla guerra. In Africa gli inglesi, dopo la cattura, lo portarono davanti al plotone d’esecuzione ma, pur raggiunto da “diciassette colpi” (come recita il titolo della sua autobiografia) e dato per morto, riuscì a fuggire. Durante la repubblica sociale organizzò un traffico di automobili, pezzi di ricambio, armi. Si infilò nelle file degli Alleati come autista del comando inglese e in queste vesti fu arrestato il 18 luglio 1945.

Un nuovo dibattimento sull’omicidio di Matteotti, aprile 1947, emise la sentenza di ergastolo. Ma già nel 1953 era fuori per un’amnistia. Rientrato in carcere a causa di un vizio di forma, il 23 marzo 1956 lasciò definitivamente il penitenziario di Civitavecchia. Poco dopo si iscrisse al Movimento Sociale. Non svolse aperta attività politica ma di fatto la fiamma sgorgante dal sarcofago del Duce per uno come lui era un richiamo irresistibile. Quello stesso fuoco arde ancora oggi nel simbolo di Fratelli d’Italia.

Giorgia Meloni, durante la commemorazione dell’ultimo discorso che il deputato socialista pronunciò in Parlamento, quello che per la forza delle denunce contro la violenza e la corruzione, (tema sul quale il governo temeva devastanti rivelazioni a proposito dei contratti con la compagnia petrolifera Sinclair Oil) equivalse ad una condanna a morte, ha onorato “un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee”. Finalmente è riuscita a pronunciare la parola proibita, hanno rimarcato i benevoli commentatori. In realtà, si è trattato della semplice ammissione di un’incontrovertibile verità storica e giudiziaria.

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Fascista è chi fascista fa

di Carla Bassu

Perché nel 2024 qualcuno in Italia fatica ancora a dichiararsi pacificamente antifascista?

E allora il comunismo? Si sente spesso replicare. Che problema c’è ad ammettere che i regimi comunisti, dall’Unione sovietica in poi, hanno fallito nell’ideale dichiarato, avvilendo le libertà individuali e risultando incompatibili con il modello di democrazia costituzionale.

La democrazia, pur imperfetta e piena di contraddizioni, è la migliore tra i sistemi di governo sperimentati finora e si pone in netto contrasto con i dettami del fascismo e del socialismo reale.

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Atreju in Albania

Atreju in Albania. Ancora sulla Fantasia abusata dalla politica.

di francesca palazzi arduini*

Vale la pena di analizzare ancora l’uso, fuori luogo, di un personaggio fiabesco come testimonial simbolico della kermesse di Fratelli d’Italia, dopo la ben argomentata denuncia di Roberto Saviano, che ha subito a causa della sua franchezza un attacco scomposto diretto finanche alla sua necessità di vivere sotto protezione. Qui si evidenzia anche una critica “di genere” alla scelta e riappare la denuncia purtroppo molto attuale della ricerca di una nuova egemonia culturale, magari minoritaria o soprattutto improvvisata, da parte di molti politici e grazie all’uso dei nuovi social media.

La politica che ambisce a diventare egemonica necessita di intellettuali organici, di rappresentazioni marmoree e architetture ardite per la sua ambizione, con strade da parata, florilegi per i suoi leader, slogan pubblicitari per le sue guerre. Nell’epoca della strategia di marketing, dei troll e degli influencer, per il politico desideroso di colpire l’immaginario del cittadino oltre che dell’elettore funziona qualsiasi pezzo di cultura, riscritto e imparruccato da fantasmi umani della A.I. .

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