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Il welfare o le armi?

di paolo flores d’arcais

 

Il welfare, naturalmente. Ma se un energumeno ti vuole togliere il welfare e anche la libertà, puoi conservare il welfare senza le armi per difenderlo?

Oggi l’Europa, e ogni suo singolo paese democratico (non tutti lo sono, Orbán docet), per difendere il welfare hanno bisogno delle armi. Altrimenti perderanno tutto. Non vederlo è cecità, ma una cecità colpevole, perché la situazione, nella sua tragicità, è di una chiarezza cristallina.

Questa.

Putin vuole per la sua Russia il Russkij Mir, “nessuno ci toglierà quello che è nostro”, e “nostro” è, per l’autocrate del Cremlino, ogni terra dove qualcuno parla russo (ma forse anche altri). Moldavia e Stati baltici sono le prime prede designate, in Georgia e Romania è già in atto una invasione non convenzionale. Ritornare ai fasti dello zarismo e di Stalin è il programma minimo.

Putin lo aveva esposto a chiare lettere ben prima dell’invasione dell’Ucraina, ma in Occidente non lo si è voluto prendere sul serio, cioè alla lettera. Sarebbe più che demenziale, sarebbe criminale, non farlo ora. Dunque, le democrazie europee, se vogliono vivere con il loro welfare e le loro libertà, devono riarmarsi. Visto che di fronte alla violenza e agli appetiti imperiali di Putin sono ormai sole, poiché l’America, con Trump, è passata dall’altra parte.

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ORA O MAI PIÙ

di enzo marzo

28 febbraio 2025: alla Casa Bianca si consuma il giorno più disonorevole e turpe della storia degli Stati Uniti. Le vicende dell’ultimo secolo non ci hanno fatto mancare esempi di giornate simbolo della scelleratezza umana. Viene in mente subito il 23 agosto 1939, la giornata dell’accordo rossobruno tra i due totalitarismi, comunista e nazista, per spartirsi l’Europa Orientale, che fu anche l’origine della Seconda Guerra mondiale. Fu firmato sotto un dipinto tragico, “Isola dei morti” di Böcklin, significativo preannuncio di ciò che sarebbe avvenuto negli anni successivi. Ci furono giovani comunisti francesi che si suicidarono non sopportando il disonore di uno Stalin che si alleava con Hitler. Le foto dell’epoca immortalano la compostezza dei protagonisti di quell’evento, come se avvertissero la tragicità delle sue conseguenze sull’esistenza di centinaio di milioni di esseri umani. È trascorso un secolo, nello Studio Ovale Trump ha perpetrato lo spettacolino simbolo del suo tradimento di tutti i valori liberaldemocratici, di tutte le alleanze, di tutti gli sforzi del suo stesso paese per difendere la libertà dell’Ucraina, e lo ha fatto vedere in mondovisione ostentando arroganza e volgarità al loro ultimo stadio. (1) Se l’abilità di un venditore di pentole si misura dal numero di pentole che riesce a spacciare, quello di Trump e del suo scagnozzo Vance è stato un catastrofico disastro. La sua trappola da maramaldo, agli occhi del mondo intero, ha dato vita a due figure esemplari: un “eroe”, che pur avendone l’occasione tre anni fa rifiutò di abbandonare il suo paese aggredito e che ora implora solo sicurezza per il suo popolo, e un “delinquente” che ribalta la politica del suo paese per rubare al “debole” le sue “terre rare” e spartirsele col “nemico” divenuto complice. Ecco una bella coppia di sciacalli. Il tutto esibito senza un’ombra di vergogna.

La “sostanza” della politica trumpiana si è completata con una “forma” aggressiva quanto triviale, ma già c’era stata tutta il 24 febbraio nel voto all’ONU sulla Risoluzione a favore dell’Ucraina, dove gli Usa trumpiani hanno ribaltato la loro politica e hanno votato contro in 18, assieme alla Russia, alla Corea del Nord e a un mazzetto di paesi canaglia protetti da Putin. Cina e India astenuti. Mai gli Usa sono stati così isolati e così in cattiva compagnia. Quindi, aldilà di tutti gli insulti, prima e dopo l’incontro a Washington, la sostanza si era manifestata assai chiaramente. Nello Studio Ovale è diventata solo irreversibile. Trump si è iscritto ufficialmente nella schiera dei “nemici” di Kiev. Ma non si è accorto che la trappola del 28 febbraio sancisce ovviamente la fine del ruolo degli Usa nella trattativa Russia-Ucraina. Le due controparti devono assolutamente mettersi al tavolo della pace al più presto, ma Trump con tutta evidenza non può sedersi dalla parte dell’Ucraina, avendo sposato le ragioni di Putin e l’equiparazione tra pace e resa senza sicurezza. D’altronde Putin saprà benissimo che un accordo con Trump sulla pelle dell’Ucraina è sì facilmente raggiungibile ma sarebbe inefficace perché difficilmente realizzabile senza l’assenso dell’Ucraina. Se Trump verrà invitato dall’autocrate russo potrà al massimo sedersi di fronte a Zelensky, accanto a Putin. Ma chi si siederà accanto all’ucraino?

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Millenovecento chilometri da Roma. Sulla delocalizzazione dell’abuso

di francesca palazzi arduini

Sono sempre più forti i legami transnazionali che consentono ai paesi governati da regimi autoritari o democrazie imperfette di fare a casa di altri ciò che, per pietà del Diritto, non possono per ora fare a casa loro.

Parliamo di Italia partendo da alcuni recenti casi di delocalizzazione: quello del confino del dissidente Aleksej Navalnyj a 1900 chilometri da Mosca, per consentirgli passeggiate mattutine a meno quaranta gradi, quello dell’accordo tra Italia ed Albania per la deportazione “breve”, lontano dai cerulei occhi del governo, di immigrati salvati sulle coste italiane, e quello della prigioniera politica Ilaria Salis.
Anzi, partiamo da quest’ultima, detenuta da oltre un anno in una sordida galera ungherese, con l’accusa di aver  partecipato ad una rissa, con prospettive di essere giudicata dalla magistratura ungherese, notoriamente soggetta agli umori del governo di Budapest. “La magistratura ungherese è indipendente”, dice invece il ministro Stralunato, e ci piace pensare che non abbia letto i corposi rapporti di Amnesty International e dell’Unione europea che sottolineano il contrario, come cioè l’assetto giudiziario ungherese sia estremamente arretrato in quanto sia ad indipendenza che ad equità. Scriveva già Amnesty International – Italia nel presentare il Rapporto 2021 “…lo squilibrio di poteri del presidente dell’Ufficio giudiziario nazionale continua a minare l’indipendenza del sistema giudiziario, nonostante i continui appelli da parte di diverse istituzioni europee e delle organizzazioni della società civile”.

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SEMEL STALIN, SEMPER STALIN

D’Alema è proprio un uomo coerente. Adesso, in un attacco di nostalgia, ha sentenziato che la “Russia e Cina si battono per un mondo più giusto”. Siamo al livello di Rizzo. Un mondo più giusto, per il nostalgico comunista, è fatto di regimi totalitari, meglio se un po’ imperialisti, senza democrazia, senza libertà politiche e civili, di stampa, di religione, e così via. Magari poverissimi.

Ma perché i suoi beniamini sono solo Putin e Xi Jinping? È grave che si sia dimenticato di Kim Jong-Un e Ali Khamenei. Senza dire di Tamim bin Hamad o dell’apprendista Erdoğan.

D’Alema non è solo un vecchio comunista preistorico, rappresenta l’ideal-tipo del comunista “italiano”, più precisamente togliattiano, quello che ancora ora sa scegliere il momento giusto per portare acqua con le orecchie alla Destra.

la Lepre marzolina – sabato 23 settembre 2023

 

Stalinisti, nazisti e opportunisti. Recensione alla “Freccia” di Maggi su Dugin

di enzo marzo

Vi prego, leggete il pamphlet di Ettore Maggi senza pregiudizi e solo per soddisfare una sete di conoscenza. Vi sono ricerche e notizie che hanno avuto scarsissima diffusione nel nostro paese. Pardon Nazione. E le ragioni sono ovvie. Si vuole impoverire la complessità della guerra in Ucraina in poche causali. Al contrario una vicenda epocale, che sta costando il sacrificio di milioni di persone, e devastando città e campagne e che mette in gioco i destini geopolitici del mondo intero, ha sullo sfondo ragioni ideologiche ben profonde.

Putin non è soltanto un autocrate paranoico, e sottovalutare le sue motivazioni è da autolesionisti.

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la sinistra italiana e il rifiuto dell’occidente

di daniele bonifati – ettore maggi
con la collaborazione di luciano belli paci, andrea carlo cappi, elena gimelli
L’aggressione russa all’Ucraina ha evidenziato la presenza di una significativa e – soprattutto – rumorosa area a sinistra che si definisce pacifista ma che sembra mossa, più che dal pacifismo, dall’avversione verso le democrazie liberali e socialdemocratiche sottolineandone gli errori, i difetti, la lontananza dal modello ideale.
L’effetto paradossale di questa impostazione è che da critiche legittime e spesso necessarie si passa al non riconoscere le differenze tra le varie democrazie se non addirittura a giustificare le dittature in nome di un mondo multipolare, espressione che Putin ha ripreso da Aleksandr Dugin, come gran parte della visione strategica russa.

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IL NIPOTE DI MUBARAK

«Lo bacerei in bocca». Così disse Vauro, riferendosi a Berlusconi e alla sue dichiarazioni a favore dell’amico Putin, l’autocrate macellaio moscovita. Travolto dal clima di San Remo, il neoberlusconiano e stalinista incallito, appena sente profumo di invasioni e di stragi comuniste si ringalluzzisce. Gli auguriamo di incontrare davvero presto il suo eroe di Arcore e di baciarlo in bocca con la passione di un nipote di Mubarak.

La lepre marzolina – mercoledì 14 febbraio 2023

berlusconi, il “liberale” putiniano. Una lettera aperta di Valerio Zanone. Con una postilla di e.ma.

[e.ma.] LA GRANDE TRUFFA. Uno dei non minori mali che affliggono la politica italiana è nella più che trentennale truffa che l’ignoranza e la malafede hanno perpetrato nel linguaggio politico e nella battaglia delle idee. Così “scientificamente” si è voluto regalare la bandiera liberale a un demagogo millantatore che fino ad allora aveva  fatto affari  di bassa lega con il partito socialista.  L’etichetta di “liberale” a Berlusconi è servita e serve ancora a dare uno straccio di dignità politica a chi ne è totalmente sprovvisto. I complici sono molti: si va da Bertinotti alla stampa padronale, persino al Pd sempre incline all’inciucio e al compromesso di potere. Il tutto si inserisce in un equivoco costruito ad arte, che fa confondere e identifica il liberalismo col liberismo, e neppure con quello classico della scuola italiana, ma con  la versione “selvaggia” di quello austriaco e americano. Fino ad arrivare a sfondare ogni diga persino del buon senso e del ridicolo: cosi si scambia il missino Tatarella con Croce, Dell’Utri  con Einaudi; diventa liberale, anzi liberale doc, un putiniano-razzista-clericale come Fontana. Come ci  si possa, la mattina, guardarsi allo specchio senza ridere o vergognarsi, non si sa proprio. Ci si strofina su Meloni come  nel 1922 i fascioliberali su Mussolini.

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RIMPIANTO

Le scellerate parole di Berlusconi sul suo amico autocrate russo e Zelenski apre un immarcescibile rimpianto di un’occasione mancata: magari Putin nel 1994  avesse aggredito l’Italia e  sostituito “con un governo di persone perbene quello di Berlusconi”. Ci saremmo risparmiati per decenni tante persone permale, ovvero corruttori di giudici, di avvocati, di testimoni, di parlamentari, mafiosi, pregiudicati ed evasori fiscali, legislatori su sé stessi, truffatori d’ogni tipo… E la bancarotta dell’intero paese.

la lepre marzolina – sabato 24 settembre 2022

DITTATORI CHE ODIANO LE DONNE – Anna Stepanovna Politkovskaja

Critica liberale intende festeggiare l’Otto marzo ricordando Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista fatta assassinare di Putin.

Estraiamo le notizie da Wikipedia.

«L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede».

Anna Politkovskaja

Anna Stepanovna Politkovskaja, nata Anna Mazepa (in russo: А́нна Степа́новна Политко́вская?; New York, 30 agosto 1958 – Mosca, 7 ottobre 2006), è stata una giornalista russa con doppia cittadinanza russo-statunitense.

Particolarmente attenta sul fronte dei diritti umani, Politkovskaja è nota principalmente per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le sue aspre critiche contro le forze armate e i governi russi sotto la presidenza di Vladimir Putin, accusati del mancato rispetto dei diritti civili e dello stato di diritto. Il 7 ottobre 2006 è stata assassinata a Mosca mentre stava rincasando. Il suo omicidio produsse una notevole mobilitazione internazionale al fine di chiarire le circostanze che hanno portato alla sua morte.

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